di DIEGO FERRANTE
Una gabbia andò in cerca di un uccello.
CIELI SILENZIOSI
Nel 2018 la rivista Science ha pubblicato i risultati di un’analisi condotta in Nord America sullo stato di salute della popolazione aviaria. Gli esiti hanno accresciuto la preoccupazione tra i ricercatori e le associazioni conservazioniste, decretando una crisi ormai conclamata: dal 1970 il numero di uccelli negli Stati Uniti e in Canada è calato del 29%, che corrisponde alla perdita di quasi 3 miliardi di esemplari. Il dato non riguarda solo quei volatili da tempo presenti negli elenchi degli animali a rischio di estinzione, ma coinvolge anche le specie più diffuse come passeri, ghiandaie, colombe o pettirossi, la cui scomparsa potrebbe avere un impatto disastroso sui loro ecosistemi.
I ricercatori, appartenenti a università, associzione e agenzia governative, hanno esaminato i registri redatti negli anni dai bird-watcher per stimare la popolazione di ogni specie a partire dal 1970, il primo anno per cui abbiamo dati considerati attendibili. Se alcune sono aumentate, un’ampia maggioranza ha visto assottigliarsi in modo drastico il numero dei suoi esemplari con un deterioramento complesssivo dello stato di salute degli uccelli nel mondo. Nonostante lo studio non fosse disegnato per individuare le cause di questo crollo, i risultati hanno hanno permesso di evidenziare alcune delle minacce principali alla sopravvivenza dei volatili: i cambiamenti climatici, la perdita di habitat naturali e, contestualmente, l’intensificazione del settore agricolo. Segnatamente, l’uso di pesticidi neonicotinoidi renderebbe più difficile per gli uccelli raggiungere il peso necessario ad affrontare la migrazione, ritardandone o compromettendone la partenza.
I radar meteorologici hanno offerto un ulteriore strumento per tracciare la popolazione aviaria. Il gruppo di ricerca, infatti, ha conteggiato gli uccelli rilevati dal 2007 al 2018 dagli schermi di 143 stazioni in tutti gli Stati Uniti, concentrandosi in particolare sulla stagione migratoria. I dati hanno attestato una riduzione del 14%, in accordo con i valori estrapolati dai registri dei bird-watcher.Tra i gruppi più colpiti gli uccelli canori, la cui popolazione è calata di 617 milioni, e i merli (440 milioni in meno). Anche gli storni – considerata una specie infestante dopo la loro introduzione negli Stati Uniti nel 1890 – hanno visto scomparire 83 milioni di esemplari, una percentuale pari al 49%.
TUTTO È PIENO DI SEGNI
Nella Grecia antica di Omero, così come nel mondo latino ed etrusco, era pratica diffusa leggere il futuro nel volo e nel canto degli uccelli. Si credeva che queste creature, forse perché appartenenti al cielo, potessero essere un tramite tra l'uomo e gli dèi rivelando quanto era destinato ad accadere. Per interpretare i presagi bisognava riconoscere la specie, notare se gli uccelli volassero da soli o in gruppo, la direzione del volo e il luogo in cui si posavano. Altri fornivano auspici attraverso il canto e ne andava studiato il tono o la frequenza.
L’ornitomanzia era basata sulla convinzione che esistesse una corrispondenza tra ogni parte dell’universo, e anche per questa ragione molti trattati l’associano all’astrologia ("Ciò che è in basso è come ciò che è in alto, e ciò che è in alto è come ciò che è in basso"). Di questo avviso era Plotino che, ne Le Enneadi, sostiene che le pratiche divinatorie non sono fondate sulla capacità degli astri o degli uccelli di influenzare gli eventi umani, bensì sulla loro consonanza. Chi alza lo sguardo al cielo e ne conosce la grammatica, guarda gli uccelli come fossero lettere e ne ricava il senso secondo analogia. Il volo degli stormi si limita a descrivere quel che accade.
ORIZZONTI D'ATTESA
In un testo pubblicato in Italia da Sellerio nel 2007, Hartog concentra la sua scrittura sull’ascesa della categoria del presente, che a suo avviso si è imposto come orizzonte dominante del nostro tempo. L’intero testo si avvale della nozione di regime di storicità per esaminare il rapporto che ogni società intreccia con il suo passato e con il futuro. Si tratta di uno strumento prospettico che aiuta a comparare modalità differenti di relazione tra uomo e storia, e a meglio comprenderne i momenti di crisi. Per Hartog, sebbene il regime di storicità moderno avesse già mostrato faglie e smottamenti, la sua crisi è stata sancita da alcuni eventi del recente passato. Il più emblematico è il crollo del muro di Berlino nel 1989 e con esso dell'idea del prossimo avvento della Rivoluzione comunista. Il presentismo in cui saremmo ancora immersi è nato da questa breccia, e si esplicita in un presente che valorizza l’immediato e occupa, statico, l’intero campo visivo.
Per lo storico francese siamo diventati una società fredda (distinzione mutuata dalle ricerche di Levi-Strauss), preoccupata solo dal preservare la sua esistenza senza interiorizzare la storia per farne un motore di sviluppo. Il tempo si è come arrestato, causando l’apparizione di tratti patologici nel modo in cui i soggetti si rapportano con il passato e con il futuro. Abbiamo sempre più a che fare “con un passato dimenticato o troppo ricordato, con un futuro che è quasi scomparso dall’orizzonte o con un avvenire prevalentemente minaccioso”. La nostra capacità di ricordare è compressa, eppure assistiamo a una tendenza del presente a storicizzarsi all'istante, con una continua espansione del problema della tutela, catalogazione, e valorizzazione della memoria. Simili misure, che patrimonializzano il passato, trasformano la percezione che abbiamo del futuro, il quale assumerà i contorni vaghi dell’apocalisse: dal futuro bisogna difendersi, anticipandone le mosse e i pericoli. (Emendando, di fatto, l’apertura su ciò che è radicalmente nuovo).
Grazie alle possibilità offerte dallo sviluppo dell’informatica, si è costituita una vera e propria "tecnologia del rischio", che fa appello al virtuale e alle simulazioni. In un universo incerto, la scelta non comporta una sola proiezione sul futuro. Non si tratta più di "prevedere il futuro", ma di "misurare gli effetti sul presente di questo o di quel futuro”. (Hartog, Regimi di storicità)
Questa dimensione balza subito agli occhi per quanto riguarda, ad esempio, il tema ecologico, ma la commistione di incertezza e immutabilità descritta da Hartog coinvolge tutta l’esperienza contemporanea del tempo. Le innovazioni tecnologiche hanno diffuso un’ideologia del presente che alimenta un senso di precarietà e solitudine, mentre la mancanza di coesione sociale e la polarizzazione della ricchezza hanno prodotto una disuguaglianza ormai insostenibile, ma percepita dai più come naturale. Come resistere a questa perdita di terreno che non consente di elaborare il passato e non riconosce un orizzonte inaugurale all'attesa? Dove intravedere una via d’uscita?
UN OCCHIO ANIMALESCO
In un breve racconto di Kafka intitolato Entschlüsse (Risoluzioni), il protagonista immagina di potersi sollevare da una misera condizione con una decisione improvvisa, alzandosi dalla poltrona e affrontando il mondo con energia rinnovata. Ma anche in questo caso, riflette già nel secondo paragrafo, non potrà evitare di compiere certi errori e si ritroverà presto a girare in tondo. La sola sopravvivenza possibile, la risoluzione migliore, è accettare tutto con calma, non compiere passi inutili, guardare il prossimo con occhio animalesco.
Le pagine dei racconti di Kafka, così come le lettere e i diari, sono piene di figure bestiali: insetti, topi, martore, sciacalli, cornacchie, scimmie, cani, talpe. La lista potrebbe continuare. Molta della sua produzione ha come oggetto principale il passaggio tra animalità e umanità, ma la transizione non ha una funzione didascalica o metaforica ed è segnata da un realismo perturbante. Gli animali sono per Kafka la ricerca di una via d’uscita, di una linea di fuga. Il divenire-animale è un viaggio lento e statico, che può essere vissuto anche senza spostarsi dalla stanza, o restando nella gabbia. Ciò nonostante, come Deleuze e Guattari si premurano di sottolineare, la via d’uscita che l’animale propone all’uomo non è la libertà.
È l’interpretazione di Blanchot de La Metamorfosi, a offrirci un ultimo tassello: Gregor, divenuto insetto, vive confinato in una stanza, per lo più ignorato dalla famiglia, e nella sua nuova solitudine si avvicina, al massimo, all’assurdità e all’impossibilità di vivere, eppure non può abbandonare l’esistenza.
Non cerca nemmeno di uscire dalla sua sventura, ma all’interno di questa sventura è latore di un’ultima risorsa, di un’ultima speranza, lotta ancora per il suo posto sotto il divano, per i piccoli viaggi sui muri freschi, per vivere nella sporcizia e nella polvere. Così bisogna sperare con lui, dal momento che spera, ma bisogna anche disperare di questa spaventosa speranza che continua, senza scopo, all’interno del vuoto. (Blanchot, Da Kafka a Kafka)
Per completa che sia la catastrofe, non sappiamo se riservi una speranza o invece l’allontani. Ma anche dopo la morte di Gregor, l'esistenza va avanti e il futuro custodisce, senza consolazione, una dimensione sociale.
Secondo il report elaborato nel 2018 da BirdLife International il 40% delle 11.000 specie di uccelli presenti sul nostro pianeta è in declino, e una su otto è a serio rischio di estinzione. Quando anche le specie comuni spariscono, gli habitat in cui hanno vissuto cambiano in modo irreparabile: gli uccelli svolgono, infatti, un ruolo chiave nei processi di impollinazione, nel limitare il numero di parassiti e insetti, nella rigenerazione delle foreste.
Il pensiero del futuro resta una dimensione cui non possiamo rinunciare, ma resta necessario imparare a ricucire la distanza tra esperienza e orizzonte di attesa. Come rendere possibile quel poco di avvenire in cui si può sperare? Cosa fare se gli stormi spariscono dalle loro rotte e conserviamo a mala pena le tracce delle loro migrazioni da poter leggere e interpretare? Per quanto sia difficile da immaginare, c’è un futuro che si ostina a continuare. Anche quando i cieli restano vuoti o le parole finiscono finalmente dimenticate. “Con leggerezza pensami, con leggerezza dimenticami”.
Nelle prossime settimane Zetaesse ospiterà uno stormo di idee e riflessioni grazie ai tanti contributi che abbiamo ricevuto. Xavi Bou ci accompagnerà lungo il delta del fiume Ebro per osservare le linee tracciate sul paesaggio dagli uccelli in volo. La natura in movimento degli stormi è, a sua volta, il punto di partenza dell’intervista che Chiara Falcone ha realizzato con Felice Cimatti sulla sua attività da disegnatore e sulla natura dell’esperienza estetica.
Laura Migliano ha scelto di soffermarsi sul flusso dati continuo che contraddistingue la nostra realtà e ha riletto concetti quali gamification, deep learning, big data a partire da studi di fisica e matematica per la previsione di comportamenti emergenti in natura. Mentre “Asleep?”, il contributo audiovisivo di Massimiliano Cerioni, ci invita attraverso la drone music e la psicologia del colore di Kandinsky a rivolgere l’attenzione sugli stormi dei nostri sguardi interiori.
Daniele Garritano sarà, invece, la nostra guida al Forte Rosso di Old Delhi dove si trova l’Ospedale degli Uccelli: da lì ci sposteremo in Europa per le ultime tappe di una ricognizione tra folla, solitudine e la ricerca di una giusta distanza.
Queste proposte sono solo alcune delle tante rotte che esploreremo nel nuovo numero tematico dedicato agli stormi. Ci auguriamo ne diventiate parte, per formare con i nostri autori una visione in continuo movimento.
*DIEGO FERRANTE
Scrive di filosofia, arti visive e scienze umane. Ha curato la traduzione dall’inglese di vari testi di teoria politica, collabora con il portale online di Micromega Il rasoio di Occam. Si nutre di letture, di arte e foglie di tè. Talvolta ne legge il fondo. È tra i fondatori di zetaesse. Non sa far nodi, non sa scioglierli.
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