di MICHELE D'AMBRA
"Chiamatemi Ismaele. Qualche anno fa — non importa quanti esattamente — avendo pochi o punti denari in tasca e nulla di particolare che m'interessasse a terra, pensai di darmi alla navigazione e vedere la parte acquea del mondo. È un modo che ho io di cacciare la malinconia e di regolare la circolazione. Ogni volta che m'accorgo di atteggiare le labbra al torvo, ogni volta che nell'anima mi scende come un novembre umido e piovigginoso, ogni volta che mi accorgo di fermarmi involontariamente dinanzi alle agenzie di pompe funebri e di andar dietro a tutti i funerali che incontro, e specialmente ogni volta che il malumore si fa tanto forte in me che mi occorre un robusto principio morale per impedirmi di scendere risoluto in istrada e gettare metodicamente per terra il cappello alla gente, allora decido che è tempo di mettermi in mare al più presto. Questo è il mio surrogato della pistola e della pallottola. Con un bel gesto filosofico Catone si getta sulla spada: io cheto cheto mi metto in mare. Non c'è nulla di sorprendente in questo. Se soltanto lo sapessero, quasi tutti gli uomini nutrono, una volta o l'altra, ciascuno nella sua misura, su per giù gli stessi sentimenti che nutro io verso l'oceano."
HERMAN MELVILLE, Moby Dick o la Balena (traduzione di Cesare Pavese)
*MICHELE D'AMBRA
Nato a Ischia nel 1975, ha vissuto per una decina di anni a Napoli dove si è trasferito nel periodo universitario per poi ristabilirsi sull'isola. Continua a frequentare la città che rimane una possibilità di "evasione". Fin da piccolo disegna fumetti per passione, ha sempre lavorato nel mondo del vino. Segue da nove anni un corso di disegno per ragazzi nell'ambito di una associazione che organizza laboratori di musica, teatro e cinema. Attualmente lavora a un progetto su Antonio Gramsci che si augura di completare entro la fine del 2020.
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