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“Apri il latte e prendi il frigo!”: gli errori linguistici sono casuali?

di GIULIA CIVETTA e VALENTINA FIORI



Zetaesse, opera di Ik Mo Kim "Landscape of Daydream 2070"
Ik Mo Kim, "Landscape of Daydream 2070" (2002) artsandculture.google.com/asset/landscape-of-daydream-2070-kim-ik-mo/uQEKb2lXbNwQMw


Il concetto di lapsus è stato introdotto per la prima volta da Sigmund Freud nel 1901 e descrive un errore non intenzionale determinato da un conflitto psichico interiore che trova spazio per emergere nella nostra vita quotidiana. Secondo Freud se da una parte il lapsus è frutto di un processo inconsapevole, dall’altro è solo apparentemente casuale. Esso infatti sarebbe la manifestazione inconscia di desideri che tendiamo a censurare.

Il tipo di lapsus a cui tutti pensiamo maggiormente è il classico lapsus linguae, in cui durante una conversazione pronunciamo delle parole diverse da quelle desiderate. Ad esempio, al termine di una giornata stancante, potremmo ringraziare gli amici dicendo involontariamente “Grazie dell’invito, è stata davvero una festa infinita”, rivelando così un contenuto della nostra mente che non siamo riusciti a inibire.

Gli errori linguistici possono manifestarsi in varie forme, come la produzione di parole distorte (come “lema” al posto di “mela”), il cambiamento dell’ordine delle parole in una frase (“mela la mangio”), ma anche la sostituzione di parole (“sto per mangiare un’orata”, mentre in forno abbiamo del merluzzo) a causa magari di un desiderio inconscio. 

Questi lapsus, spesso definiti “scherzi della mente”, mostrano che può capitare di dire cose involontariamente, talvolta per una distrazione o a causa di pensieri che balenano nella mente frutto di associazioni di cui non ci rendiamo conto in quel momento. Ricordiamo Mario Draghi che salutò gli “onorevoli deputati” mentre si trovava al Senato e per vari secondi non capì l’errore finché il brusio dei senatori non attirò la sua attenzione.

Oggi gli studi sul linguaggio ci hanno permesso di comprendere che anche se gli errori che facciamo a volte sono frutto di processi cognitivi automatici e inconsapevoli, essi seguono comunque le loro regole.

Uno studio recente ha dimostrato, per esempio, che confondere il nome di un nostro parente con quello di qualcun altro non è un fenomeno casuale. Sarà capitato di sentire un nostro nonno sbagliare il nome del proprio nipote e chiamarlo con il nome di tutti gli altri prima di arrivare al nome corretto. Altre volte, come riportato nello studio, può anche accadere di confondere il nome di un parente con quello del proprio animale domestico. Ecco, questi errori di denominazione seguono una regola precisa. L’errore non è legato al genere o all’età delle persone di cui confondiamo i nomi, bensì al “gruppo” di riferimento. Per questo motivo possiamo chiamare un parente anche con il nome di un altro nipote o addirittura del nostro cane, in quanto entrambi considerati parte del gruppo “famiglia”. 

Lo studio sugli errori linguistici è stato condotto anche da un punto di vista clinico su pazienti con afasia. Le persone afasiche sono persone che, a seguito di una lesione cerebrale, manifestano deficit nella produzione e/o nella comprensione linguistica. 

A seconda del tipo di lesione possono manifestarsi errori che riguardano la fonologia, il lessico, la semantica, sia in produzione che in comprensione. Quando la lesione colpisce le aree più frontali, come l’area di Broca, si manifesta una diminuzione qualitativa e quantitativa dell’eloquio, in caso di lesione di aree temporali, come l’area di Wernicke, il deficit riguarda la comprensione del linguaggio accompagnato da un eloquio fluente, ma ricco di errori di vario tipo, come ad esempio neologismi.

In generale, quindi, i pazienti possono produrre parole con una relazione fonologica, ovvero con un suono simile, a quella target, come “martello” al posto di “cartello”. Oppure possono commettere errori semantici scambiando parole che condividono una relazione di significato, come “cane” al posto di “gatto”. Infine possono mostrare il deficit dell’anomia, caratterizzato dall’incapacità di richiamare una determinata parola e dall’avere la sensazione di averla “sulla punta della lingua” senza tuttavia riuscire a ricordarla in quel preciso momento. 



Zetaesse, rappresentazione del cervello e delle aree di Broca e Wernicke
Buğa, Duygu, (2016). Central Language Hypothesis in the Decision-Making Process


Le ricerche condotte sulle aree di Broca e Wernicke hanno contribuito significativamente alla comprensione dei processi linguistici, rivelando una specializzazione di queste aree sia nei soggetti sani che in quelli affetti da afasia. Ad esempio, studi condotti presso la Fondazione Santa Lucia IRCCS hanno confermato che, tramite la stimolazione tDCS, anche nei pazienti afasici si osserva un miglioramento nella produzione dei verbi quando viene stimolata l'area di Broca, e un miglioramento nella produzione dei nomi quando viene stimolata l'area di Wernicke.

Lavori di questo tipo ci consentono di comprendere meglio anche il modo in cui il nostro cervello può occasionalmente generare dei lapsus. Possiamo pronunciare parole il cui suono è simile a quello che stavamo pensando, scambiando lettere o sillabe, anche se la parola non esiste effettivamente. Oppure possiamo pronunciare parole che condividono tra loro una relazione semantica, anche se il suono è completamente diverso.

L’errore linguistico, quindi, non è sempre casuale! Ciò che viene elaborato dal nostro cervello non dipende sempre da meccanismi consapevoli, ma spesso segue delle regole di funzionamento che comunque esercitano un effetto sulla nostra vita. 

Freud e le neuroscienze hanno permesso di avvicinarci di più a una parte della nostra attività mentale inconscia e di comprendere come questa sia parte essenziale della vita quotidiana di tutti noi. È proprio nell’errore, a volte, che può aprirsi una via d’accesso a contenuti e meccanismi che altrimenti non avremmo modo di conoscere.





*GIULIA CIVETTA

Psicologa e psicoterapeuta in formazione. Ha studiato neuroscienze cognitive e riabilitazione psicologica alla Sapienza. Dal 2021 si occupa di neuroscienze, Alzheimer e tDCS in ambito di ricerca. Appassionata di cinema, letture e crime e con una preziosa collezione di concerti. 


*VALENTINA FIORI

Psicologa, psicoterapeuta, dottore di ricerca in Neuroscienze. Lavora come ricercatrice presso la Fondazione Santa Lucia IRCCS dove si è occupata di protocolli di riabilitazione per il trattamento dei disturbi afasici accoppiando alla terapia standard tecniche di stimolazione cerebrale non invasiva (stimolazione transcranica a corrente diretta, tDCS). Dal 2020 si occupa di protocolli di ricerca che prevedono l’applicazione della tDCS nella malattia di Alzheimer. Come psicoterapeuta segue adolescenti e adulti presso uno studio privato e presso il Consultorio Familiare. Appassionata di arti circensi, nel tempo libero, pratica la danza aerea. 

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