di ALESSANDRO GIANNACE
Vi sarà probabilmente capitato di notarlo. C’è un gran parlare di cucina e un gran fermento intorno all’arte culinaria, soprattutto sui social network. Del resto, che cosa meglio del cibo si sposa con le dinamiche di condivisione di Facebook e dei suoi fratelli? Basta un semplice dato per confermare l’impressione che abbiamo a un primo sguardo, ossia le nostre bacheche e le timeline abbondano di post alimentari. Che siano foto della parmigiana della nonna o ricette di chef stellati poco importa. Il cibo tira e pure parecchio sui social: secondo il sito tubularinsights, a ottobre 2016 una delle pagine Facebook più visitate, con circa 1,4 miliardi di visualizzazioni, è stata quella di Tasty, una piattaforma di contenuti culinari che dispensa ricette facili facili e alla portata di chiunque attraverso video lampo (durano circa 30 secondi), che spiegano l’esecuzione dei piatti. Il video di una lasagna di patate ha generato 90,1 milioni di visualizzazioni in appena 4 giorni. Proprio da qui prende le mosse questo articolo: nell'era del foodporn, delle ricette che diventano sveltine, forse è meglio approfondire e un po’ – solo per puro piacere personale, e senza la pretesa di essere chef –, farsi le basi per capire quello che stiamo facendo quando prepariamo un uovo sodo o scegliamo di accostare una marmellata di albicocche su un formaggio caprino. Trenta secondi di video tutorial sono decisamente pochi per saperlo. Di seguito, quindi, un breve (e personalissimo) percorso bibliografico: cinque libri (come cinque sono i gusti in cucina: dolce, salato, amaro, acido e umami) per orientarsi meglio in cucina, attraverso tecniche, ricette, storie e suggestioni sensoriali.
#1 PELLEGRINO ARTUSI – La scienza in cucina e l'Arte di mangiar bene
«La cucina è una bricconcella; spesso e volentieri fa disperare, ma dà anche piacere, perché quelle volte che riuscite o che avete superata una difficoltà, provate compiacimento e cantate vittoria. Diffidate dei libri che trattano di quest'arte; sono la maggior parte fallaci o incomprensibili, specialmente quelli italiani; meno peggio i francesi; al più al più tanto dagli uni che dagli altri, potrete attingere qualche nozione utile quando l'arte la conoscete».
È quasi paradossale, ma è proprio così che inizia la prefazione di La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene di Pellegrino Artusi, “IL” libro di cucina italiana per antonomasia: 111 edizioni e oltre un milione di copie vendute. L'edizione attualmente disponibile è identica a quella del 1911, la quattordicesima, mentre la prima è datata 1891. Il libro è frutto dei viaggi d’affari in cui l’Artusi fu impegnato subito dopo l’unità d’Italia: in calesse e treno fece tappa soprattutto al nord e al centro, con qualche punta fino a Napoli, provando sempre “sul campo” le pietanze di cui poi parlerà. Le ricette riportate sono soprattutto quelle della tradizione romagnolo-bolognese e toscano-fiorentina, ma non manca uno sguardo ai piatti internazionali come la ricetta del roast-beef, «penetrata in Italia col nome volgare di rosbiffe, che vuol dire bue arrosto».
Oltre al merito di aver compendiato un vastissimo numero di portate (790 nell’ultima edizione che spaziano dagli antipasti ai dolci, molte inviate dagli stessi lettori dopo il successo della pubblicazione) ad Artusi va quello di aver definito per la prima volta un codice alimentare e culinario nazionale creando un manuale pratico che insegna una cucina semplice, a cui servono solo passione, buoni ingredienti e attrezzature alla portata per una buona riuscita, senza tralasciare l’aspetto “scientifico”, inteso come una cucina che segue i principi dell’economia attraverso il calcolo dei costi e del recupero degli avanzi. Il tutto raccontato come un viaggiatore avrebbe la sua esperienza una volta tornato: con un tono ammirato per le esperienze culinarie fatte e un linguaggio che, pur suscitando a volte il sorriso, è ancora molto efficace: «I Romagnoli, per ragione del clima che richiede un vitto di molta sostanza e un poco fors'anche per lunga consuetudine a cibi gravi, hanno generalmente gli ortaggi cotti in quella grazia che si avrebbe il fumo negli occhi, talché spesse volte ho udito nelle trattorie: - Cameriere, una porzione di lesso; ma bada, senza spinaci. - Oppure: - Di questi (indicando gli spinaci) ti puoi fare un impiastro sul sedere» dice ad esempio introducendo la ricetta dei “Ravioli all’uso di Romagna”. Un must, anche perché «con questo Manuale pratico basta si sappia tenere in mano un mestolo che qualche cosa si annaspa».
#2 JULIA CHILD – Mastering the Art of French Cuisine
«Lo sai perché mi piace cucinare»
«No, perché?»
«Perché dopo una giornata in cui niente è sicuro, e quando dico niente voglio dire n-i-e-n-t-e, una torna a casa e sa con certezza che aggiungendo al cioccolato rossi d’uovo, zucchero e latte l’impasto si addensa: è un tale conforto!»
Cuoca, scrittrice, personaggio televisivo: non ci sarebbe cucina in Tv senza Julia Child, pioniera degli chef televisivi, colei che sdoganò la cucina francese negli Stati Uniti. Fu tra le prime star culinarie del piccolo schermo: nel 1962, per promuovere il suo primo libro di ricette andò in una tv locale di Boston e cucinò una semplice omelette: i suoi modi genuini (quasi una Sora Lella a stelle e strisce) conquistarono il pubblico. Nella sede della stazione tv arrivarono 27 lettere che chiedevano a gran voce di vedere ancora «quella donna alta e dalla voce grossa cucinare ancora». Fu così che le fu offerta la conduzione della serie “The French Chef”, serie che andò in onda per 10 anni dal 1963 al 1973 su un centinaio di emittenti televisive americane. Se quella francese è la madre di tutte le cucine, allora non si può prescindere dall’avere in libreria il suo Mastering The Art of French Cuisine, composto di due tomi. Oltre che un ricettario, un vero e proprio abbecedario che parte dalla descrizione degli strumenti da cucina e del loro utilizzo, passando per le tecniche di cottura dei diversi alimenti per poi arrivare alla spiegazione delle preparazioni
#3 HERVE' THIS – Building a Meal: From Molecular Gastronomy to Culinary Constructivism
Che cosa succede esattamente quando immergiamo un uovo nell’acqua bollente per renderlo sodo? O quando lessiamo la carne per ottenerne il brodo? Che cos’è in fondo la cucina, se non una trasformazione di molecole? Ecco, per sapere come si comportano quelle dei cibi, senza studiare chimica, ci si può affidare a Hervé This, il padre della gastronomia molecolare (termine da lui stesso coniato nel 1988), nonché instancabile scrittore. Proviamo a cucinare un pranzo intero con lui grazie a “Building a Meal: From Molecular Gastronomy to Culinary Constructivism”, purtroppo inedito in Italia. Un percorso in cui This mette alla prova del microscopio le nozioni pratiche ed empiriche che hanno guidato i cuochi per decenni (mettere la carne in acqua fredda per preparare il brodo, ad esempio) collegando la mente con lo stomaco nella realizzazione di sei portate base per ogni bistrò: un uovo sodo con la maionese, un consommé, coscia d’agnello con patatine fritte, torta di meringa al limone e mousse di cioccolato. This isola le esatte proprietà chimiche che stimolano i sensi: una prospettiva che induce anche i meno navigati in cucina a riprodurre i suoi esperimenti. Per chi ama i gusti estremi, This è anche il padre della Note-by-note Cuisine, in cui i composti molecolari sostituiscono gli ingredienti tradizionali. Un nuovo concetto di intendere la cucina, ispirato dal suo sogno di scienziato: «sogno il giorno in cui le ricette daranno indicazioni come 'aggiungi al tuo brodo due gocce di una soluzione allo 0,001% di benzilmercaptano in alcol puro'».
#4 JOHN DICKIE – Con gusto – Storia degli italiani a tavola
«Il cibo è affascinante, ma in definitiva è molto più affascinante chi lo produce, lo cucina, lo mangia e ne parla. Ecco perché questo libro è una storia della civiltà della tavola italiana, non semplicemente la storia di quello che gli italiani mettono in tavola».
Così John Dickie, storico inglese innamorato dell’Italia definisce il suo Con gusto – Storia degli italiani a tavola: un saggio, quindi e non un manuale di cucina, un tour storico ma soprattutto geografico nella storia dell’alimentazione italiana. L’opera di Dickie, infatti, parte da un assunto fondamentale che sfata il mito contadino: la cucina italiana è prevalentemente una cucina di città. Dall’inizio del secondo millennio le città hanno usato i prodotti della campagna per costruire la nostra tradizione culinaria, sostiene Dickie. Le città erano il polo ideale per favorire la nascita di una grande gastronomia: entro le loro mura si concentrava tutto quello di cui c’era bisogno: ingredienti e competenze culinarie, potenza, ricchezza, mercati e competizione per il prestigio sociale. Non è un caso che tantissimi prodotti e piatti della cucina italiana, soprattutto quelli più conosciuti all’estero prendano il nome da una città: bistecca alla fiorentina, tagliatelle alla bolognese, saltimbocca alla romana, pizza napoletana, risotto alla milanese, olive ascolane e via dicendo. Una tesi sostenuta attraverso uno sguardo storico ai cibi, ma non solo: vengono passate in rassegna le abitudini alimentari e il loro cambiamento nel corso degli anni (stravolte, ad esempio, dal boom economico e dall’arrivo del frigorifero in ogni casa), gli strumenti dei cuochi, la preparazione delle tavole e dei luoghi di consumo e le influenze che, occupazione dopo occupazione, invasione dopo invasione, hanno caratterizzato le singole cucine regionali. Per i più pigri, le tesi di Dickie sono state condensate anche in un approfondimento televisivo in sei puntate: “De Gustibus - L’epica storia degli italiani a tavola”, in onda sulla tv satellitare.
#5 NIKI SEGNIT – La grammatica dei sapori
Sedici famiglie di sapori, novantanove voci e 4.851 combinazioni da provare. Più che un dizionario, una grammatica, La Grammatica dei Sapori, appunto. Si chiama così il libro di Niki Segnit, cuoca amatoriale britannica, che ha applicato alla cucina un approccio greimasiano oseremmo dire. Inventandosi una ruota semantica dei sapori, accostati per affinità. Tostati, come il cioccolato e il caffè, senapati, come il crescione e il cappero: i sapori vengono introdotti per famiglie e declinati in un gioco di combinazioni e rimandi. Come degli improvvisi lampi nella memoria sensoriale di Niki, che magari ci parla dell’abbinamento tra aglio e mandorle, per ricordarsi che queste ultime stanno benissimo anche con il melone, invitandoci ad andare alla pagina corrispondente. Anche in questo caso, come in quello di Artusi, la forza del libro è il suo linguaggio poco tecnico e molto incline al racconto, alla suggestione, come quando ad esempio ci parla di quel piatto di «huevos con patatas che mangiammo una notte in Spagna. L’avevamo ordinato pensando che fosse una tortilla, o un semplice piatto di patatine fritte e uova. Ma quando arrivò l’aspetto era tutt’altro: su un piattino grazioso, semplici patatine fritte in padella insieme con un paio di uova, non del tutto strapazzate, non del tutto fritte […] Quando capimmo che le fette elastiche di patata, riunite a mucchietti dall’uovo burroso e sminuzzato, erano impossibili da dividere con una forchetta, ci rimboccammo le maniche e mangiammo con le dita. Una vera delizia: la finimmo tutta, fino all’ultima briciola, lasciando sui bicchieri di vino le nostre impronte unte».
*ALESSANDRO GIANNACE
Giornalista, scrive di sport e scommesse. Spesso in cucina, a volte dietro i giradischi. Non ama le note biografiche, ma per noi ha fatto un'eccezione...
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