di ROSA GIORDANO
Al mio barrio, che sarà per sempre con me.
Alejandro Morales
Alejandro Morales, autore dell'opera Caras viejas e vino nuevo tradotta in inglese come Barrio on the Edge e in italiano come Barrio in Fiamme, è uno di quelli che, nati in dure realtà di margine in quartieri degradati e violenti, hanno poi vissuto una rinascita attraverso la scrittura.
Nel quartiere latino in cui viveva nella periferia di Los Angeles con i suoi genitori messicani, emigrati come tanti negli Stati Uniti, fu un evento traumatico che lo spinse verso la scrittura: travolto dall'alcol e dall'abuso di droga venne coinvolto in una rissa, accusato di aggressione e rinchiuso in carcere per un breve periodo. Fu quello il momento in cui decise di riversare nella scrittura il suo dissidio interiore, accentuato non solo dalla realtà violenta in cui viveva, Simons barrio, ma anche dallo sradicamento culturale di chi cerca di trovare un senso di appartenenza pur avendo una doppia matrice culturale, quella statunitense e quella messicana, spesso stridenti e in lotta continua.
Morales dopo aver ricevuto numerosi riconoscimenti e premi letterari è oggi professore di Studi Chicani/Latini presso l'Università di California ed è considerato a livello internazionale come uno dei più notevoli autori chicani. Come lui stesso afferma, il suo barrio non lo ha mai abbandonato, le esperienze di vita in quell'ambiente gli scorrono ancora nelle vene, quel non-luogo è la fonte del suo vissuto da cui l'immaginazione continuamente si nutre, senza mai appagare completamente la sua sete artistica. La visione del quartiere latino, el barrio, è infatti il punto focale del romanzo; l'autore si pone in controtendenza rispetto alla tradizione chicana che lo aveva rappresentato come microcosmo di rifugio, di protezione, di omogeneità culturale contro la dominante e opprimente cultura statunitense. Ne svela uno status sociale che molti avevano preferito ignorare: la vera natura violenta e controversa del ghetto, una visione realistica e rappresentativa del degrado e delle continue lotte tra gangs che tutt'oggi dominano le periferie ai margini delle metropoli statunitensi abitate da minoranze etniche. Ai tempi della pubblicazione della prima versione del romanzo, nel 1975, era però una visione scomoda per il movimento chicano che, nel tentativo disperato di affermare l'identità nazionale e l'integrazione delle comunità messicano-americane nella società angloamericana, vedevano nel romanzo una pubblicità negativa dell'hard-core barrio life.
Un romanzo forse più adatto ai tempi moderni che a quei tempi, in cui la realtà è presentata attraverso gli occhi di due adolescenti, l'auto-distruttivo e irresponsabile Julián e Mateo, suo compagno fraterno. I due giovani si muovono in una realtà in cui i personaggi sono essere umani vulnerabili ridotti al livello istintuale e animale, la realtà è distorta dalla droga, dall'alcol e dagli stupefacenti che diventano mezzi di fuga dalla violenza a dagli abusi sessuali. Cinismo, paura, rabbia regolano il ritmo della narrazione che si esemplifica nel personaggio instabile e autodistruttivo di Julián, turbato da tendenze suicide e tormentato da una ricerca ossessiva della madre morta: velato complesso edipico ed insensata ossessione in quanto responsabile diretto del suo decesso, come di quello del suo violento padre:
"Julián tendeva sempre più al suicidio facendosela con finocchi, puttane e pazzi; il tarlo che aveva nella testa lo divorava e accresceva l'odio che provava per il padre. La sua mente si contorceva dalla rabbia quando sentiva i pettegolezzi e le bugie che gli raccontavano i fratelli Buenasuerte. Il tuo vecchio se la spassa con Doña Matilde nel letto di tua madre… La vecchia non è tanto male, eccita anche me. Zitti stronzi o vi ammazzo! I Buenasuerte ridevano e provavano un gran piacere nel provocare Julián. Julián era molto malato ma i Buenasuerte lo usavano spesso per il loro divertimento".
Atteggiamenti autodistruttivi e sfrenata insolenza caratterizzano il vissuto dei due giovani del quartiere, restii ad accettare ogni tipo di responsabilità sociale; la loro unica legge è quella della sopravvivenza all'interno del caos della giungla metropolitana che rende tutti i personaggi del romanzo fantasmi, personalità confuse divorate dall'ambiente cannibalistico distorto dalla droga. La stessa divinità è concepita come allucinazione o delirio, fenomeni che impediscono ogni tipo di comunicazione; invece di cercare la guida divina o la perfezione spirituale, i personaggi usano infatti droga, alcol, sesso o rabbia come vie di fuga dall'ambiente suicida che li circonda. L'unico personaggio che funge da controparte positiva è Mateo, un ragazzo che se pur partecipe delle attività violente del quartiere, cerca di trovare un significato alla sua esistenza mostrando un'abilità nel distinguere tra ciò che è giusto e ciò che non lo è, unico in grado di auspicare a un ordine sociale differente. Anche se è l'unico personaggio a non morire di morte violenta, non sarà risparmiato dalla spietatezza del barrio che diventa così nel romanzo di Morales una sorta di caricatura del mondo esterno, una distorsione crudele di ciò che la società statunitense contemporanea ha prodotto e continua a produrre relegando ai margini le minoranze etniche. È un'alterazione di quello che la società imperialista crea e poi rifiuta e abbandona come spazzatura; incapace di cambiare, il barrio diventa un luogo di distruzione privo di qualsiasi redenzione.
Il libro, raccontato in terza persona, è costruito con uno stile iperrealista, iconoclastico, condizionato dallo sperimentalismo postmoderno; il linguaggio è bizzarro, irriverente, autodenigratorio, il tono rifiuta l'ordine e l'armonia. Il narratore non si pone come voce centrale ma semplicemente diventa un elemento in più della narrazione, spesso confuso e nascosto tra le voci polifoniche che popolano il testo. Il tempo non segue il tradizionale ordine cronologico, lo spazio non è mai definito fisicamente, gli oggetti, specialmente le parti del corpo, sembrano catturate nei dettagli da una lente di ingrandimento e assumono spesso un ruolo vitale, come se si sostituissero ai personaggi in carne e ossa:
"La massa di corpi infuriati si muoveva da un lato all'altro; aveva una mente propria formata dalla moltitudine che, vista l'opportunità, esprimeva una violenza catartica. Il cuore batteva forte nei corpi mentre cercavano di evitare la ressa... Braccia con pugni stretti, piedi scalcianti, testate, bocche che davano morsi, smorfie di dolore straripato da vene aperte sui visi, sulle pance, sulle tette e sulle palle di quel turbine che li aveva inghiottiti senza che se ne accorgessero".
La sintassi è volutamente complicata, la semantica confonde; la narrazione è dominata da nervosismo, il linguaggio da descrizioni erotiche, insulti espliciti, depravazione sessuale. È quasi un romanzo gotico che crea immagini surrealistiche dei personaggi e dell'ambiente per accentuare il senso di violenza, di deformazione della realtà come protesta contro l'ordine morale e sociale.
Interessante è anche la scelta del tempo narrativo che predilige il passato progressivo, un tempo che permette al narratore di creare un costante senso di urgenza, di infrangere le barriere con il presente, dando al lettore la sensazione di continuità e imminenza degli eventi, permettendogli di vivere il barrio da un punto di vista soggettivo, interno alla narrazione.
Riflettendo sul testo è chiaro che l'intento di Morales è quello di dipingere un barrio metaforico, geograficamente non preciso, inteso come il riflesso di barrios differenti. I personaggi che lo abitano sono dei fantasmi di se stessi, protagonisti confusi, voci indistinte. Il linguaggio usato è bizzarro, irriverente, pieno di ellissi, cose non dette e puntini sospensivi, dominato da frasi spezzate unite da insistenti punti e virgola che tentano di congiungere costruzioni sintattiche fluttuanti tramite instabili graffette. Un linguaggio che richiama quello cinematografico, come se ci fossero tanti piccoli filmati registrati da telecamere instabili posizionate in punti diversi che ricreano il caos dell'ambiente in cui si muovono i personaggi. Solo riavvolgendo la pellicola e guardando e riguardando le scene possiamo avere una comprensione di ciò che è successo prima, trovare le cause del presente e cercare risposte, alternative e soluzioni, nel tentativo di riordinare e aggiustare gli eventi e trovare una conclusione diversa da quella violenta del romanzo.
Una condizione urbana questa che senza una collocazione geografica precisa potrebbe riferirsi e rispecchiare la periferia di ogni metropoli del mondo, anche italiana. Il barrio latino è il simbolo di un qualsiasi spazio fatto di palazzi tutti uguali, uno scenario grigio come il colore dei muri, gli abusi edilizi e umani; grigio come gli animi della gente costretta a vivere circondata dalla violenza ma cercando sempre, nonostante tutto, almeno un barlume di normalità, nel mondo latino così come nei barrios delle città moderne europee. Ma esaminandola nel profondo, il senso dell'opera di Morales non è quello di distaccarsi e giudicare il suo barrio, ma entrare nella verità profonda, capire il perché delle sue sventure, decifrarne le complessità, spiegarne la difficoltà attraverso una serie di personaggi coinvolti in una lotta esistenziale. Come afferma l'autore stesso del romanzo, la scrittura esiste grazie alla sua esperienza nel suo barrio e alla relazione del barrio stesso con il mondo esterno, e questa esperienza non lo ha mai abbandonato, è parte costante della sua vita e della sua arte. Il successo letterario non può essere considerato una redenzione, perché non c'è la volontà di essere salvato dal suo barrio, che non va inteso solo come un luogo negativo di distruzione. Il barrio è ciò che gli fornisce gli strumenti e l'esperienza necessaria per sopravvivere nel mondo esterno, che gli insegna a non cedere mai, a non arrendersi mai.
Le periferie latine, come quelle delle nostre metropoli, godono sempre di una cattiva reputazione, sono stereotipizzate dai media che ne mostrano sempre e solo il lato violento, l'aspetto criminale. Si ignorano le vite “normali” di gente “normale” che lavora, educa i figli, si impegna in attività sociali e culturali. Si ignora il fermento artistico e culturale che spesso nasce proprio da queste realtà più degradate e complesse, dalla lotta, dalla diversità. Los Angeles per Alejandro Morales, ma così come Napoli e altre centinaia di metropoli, possono essere considerate come nella visione dell'autore un'eterotopia, uno spazio dove esistono infinite differenze, uno spazio dinamico di movimento e trasformazione infiniti, di infiniti confini e possibilità simultanee, anche di crescita culturale.
*ROSA GIORDANO
È traduttrice e docente di italiano L2. Ha tradotto dall'inglese e dallo spagnolo diverse opere tra cui Canto chicano. La canzone chicana della protesta (2007), Voci migranti (2008), 10/10 Ramiro Fonte (2008) e Barrio in fiamme (2012). L’ambiente internazionale in cui lavora nutre quotidianamente la sua passione per l'interculturalismo e stimola la ricerca continua di autori e opere di culture altre da scoprire e tradurre.
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