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Codes of Conducting – la gestualità direttoriale

di EDA ÖZBAKAY



Claudio Abbado - fotografia di Alfred Eisenstaedt



“Non è il gesto del direttore d’orchestra a plasmare l’adeguato pensiero musicale, al contrario, è il pensiero musicale a far nascere istintivamente i gesti opportuni. “



Chiunque abbia mai assistito a un concerto d’orchestra, molto probabilmente avrà seguito con grande attenzione non solo la musica eseguita dall’ensemble, ma anche le figure disegnate nell’aria dal direttore d’orchestra. La traiettoria bianca della bacchetta scaturita dal podio come se fosse una scia filigrana nella materia, i movimenti del suo corpo, il suo crescere e farsi piccolo. Si saranno notate le sue mani che, con gesti morbidi, scattanti, decisi o accoglienti, componevano un messaggio inequivocabile, per quanto intangibile. Ed è probabilmente per via di questo messaggio, percepito anche dai meri ascoltatori, che alla domanda “Cosa fa un direttore d’orchestra?”, difficilmente ascolterete una risposta come “batte il tempo”. Si converrebbe, piuttosto, che egli, oltre a tenere il tempo scandito in battute, interpreta e veicola l’informazione musicale. Che comunica. Che pur essendo l’unico a non eseguire alcuna musica, ne trasmette il senso più stratificato e complesso. Da dove nasce la figura del direttore d’orchestra e con lui questo insieme di segni e gesti dalla forma ineffabile?

Leggiamo ne “Il Dizionario della musica e dei musicisti UTET” che “[...] il gesto direttoriale viene a presentarsi come la risultante di due forze: una istituita dal principio della misura e tendente alla meccanica osservanza della scansione degli accenti [...]; l’altra originata dalla volontà di comunicare le prescrizioni attinenti a ogni altra particolarità dell’esecuzione in quanto concerne i modi e le variazioni della dinamica, dell’agogica, del fraseggio, ecc., tendente, questa, a dar forma a una semantica visiva di natura più propriamente evocativa e immaginosa la quale trova le sue origini nel principio dell’antica chironomia [...]”.

Il termine chironomia indica una tecnica gestuale diffusa in molte civiltà antiche, come nell’antico Egitto. Consiste in un metodo di posizionamento delle braccia, delle mani e dita con cui il chironomo, un antenato del direttore d’orchestra, guidava i musicisti indicando l’andamento delle linee melodiche e degli intervalli. Molte rappresentazioni di scene musicali trovate sugli antichi bassorilievi egizi nelle decorazioni delle tombe contengono l’immagine di uno o più chironomi.



Suonatore di flauto e di arpa nella tomba di Ptahhotep a Saqqara. Il chironomo è seduto al centro; Foto: Rudolf Jaggi, da “'Jauchzen herrscht im Himmel und auf Erden' Altägyptische Musik im Überblick"


L’analisi di queste serie di gesti nelle raffigurazioni ritrovate all’interno delle tombe egizie eseguita dal musicologo Hans Hickmann (1908-1968) ha permesso di ipotizzare un sistema di codificazione dei valori delle note. Le varie posizioni delle dita e delle mani corrisponderebbero a specifiche informazioni ritmiche e sonore, come ad esempio riguardo la tonalità base e l’intervallo di quinta:



Hickmann, Hans: Ägypten (Musikgeschichte in Bildern), pagina 86 Diapositiva della collezione Födermayr


Sebbene non tutti gli studiosi concordino con la decodificazione e l’interpretazione data da Hickmann, l’ampia diffusione della gestualità direttoriale anche in altre culture e nei secoli successivi ne conferma il ruolo integrante nell’esecuzione musicale. In epoca medievale, ad esempio, il direttore del coro gregoriano (precentore) eseguiva l’arte di dirigere mediante movimenti delle mani per indicare l’andamento ascendente o discendente della melodia, trasmettendo così le informazioni necessarie per l’esecuzione musicale. Fu con il periodo della Ars Nova, caratterizzato da un sistema di notazione ritmico-musicale nuovo rispetto a quello dei secoli precedenti, che nacque il tactus come unità di misura musicale e con lui la necessità di indicare non solo lo sviluppo delle melodie, ma anche il tempo ritmico cadenzato da battute sonore o visive. La battuta sonora veniva eseguita battendo la mano, il piede oppure un bastone su una superficie, mentre la battuta visiva era ottenuta muovendo la mano. L’uso della bacchetta, infatti, si impose solo nell’Ottocento, con la pratica della direzione d’orchestra come l’intendiamo oggi.

In epoca barocca, era un membro dell'orchestra a guidare gli ensembles, in genere il primo violino o il maestro al clavicembalo. Spesso era il compositore stesso a concertare e dirigere. Tuttavia, composizioni sempre più complesse, richiedenti crescenti esigenze di tecnica musicale, contribuiranno alla nascita di una figura direttoriale senza strumento, dedicata esclusivamente alla coordinazione dei musicisti e alla preparazione tecnico-musicale di un'esecuzione. Con un progressivo cambio di prospettiva, in età moderna l’importanza del direttore d’orchestra è cresciuta significativamente, fino a riconoscere in lui l’interprete fondamentale dell’opera musicale. L’evoluzione del virtuosismo direttoriale è progredita, infatti, fino a costituire stili personali di interpretazione musicale riconoscibili non solo agli addetti ai lavori e tali da plasmare il carattere di un’intera orchestra. Un esempio a tal proposito è la figura di Arturo Toscanini e la sua collaborazione con la NBC Symphony Orchestra.

Cosa rende unico uno stile direttoriale? Che cosa trasmettono i direttori d’orchestra in aggiunta all’informazione contenuta nello spartito e con quali codici avviene questo tipo di comunicazione?

Partiamo dalle mani. Comunemente il braccio destro viene usato per le indicazioni di tempo, utilizzando dei gesti cadenzati a tempo di battuta.



Selezione di figure ritmiche (1: Ericson, 2: Lijnschooten, 3: Philips, 4: Lumley, 5: Schaper; 6: Lijnschooten 7: Bimberg 8: Thomas, 9: Göstl) in "What Is Conducting? Signs, Principles, and Problems" MortenSchuldt-Jensen


Già un gesto del braccio con un messaggio apparentemente semplice, come indicare una battuta in 4/4, si rivela oggetto di diversi approcci interpretativi e conseguenti tecniche gestuali dissimili. Cosa intendiamo per una battuta in 4/4? La scelta su come rappresentare la battuta è arbitraria? In realtà il gesto di cui il direttore d’orchestra si serve per indicare il tempo è qualcosa di molto più ampio, esprime l’intera capacità di comunicazione del direttore ed è portatore dell’interpretazione musicale.

Ascoltiamo il concerto brandeburghese n.2 di Bach nella versione diretta da Fritz Reiner e da Pablo Casals. L’atmosfera di queste due esecuzioni è di natura diversissima, anche se si tratta dello stesso brano composto in 2/2. Nello spartito, il primo movimento non contiene indicazioni di tempo, non c’è, quindi, un tempo “giusto” da seguire. La lettura e l’interpretazione è, pertanto, affidata al direttore e in entrambi i casi pienamente valida. Spetta al direttore d’orchestra decodificare lo spirito musicale dell’opera, comprenderlo e trasmetterlo ai musicisti codificandolo nuovamente con una semantica visiva. Il suo gesto veicolerà, quindi, tutte le informazioni che intende trasmettere ai musicisti, frutto della combinazione di preparazione professionale e interpretazione soggettiva dell’opera del compositore. Saranno incluse le informazioni tecniche contenute nello spartito e la soggettiva scelta di dosare le possibilità espressive dei singoli strumenti. In sintesi, il gesto del direttore d’orchestra è quell’atto che tramuta in unico strumento espressivo la moltitudine delle voci d’orchestra. Sebbene esistano approcci tecnici standardizzati, come la tecnica dell’anticipo, quella del levare, i gesti attivi, passivi o dialoganti, le figure di cui si servirà il direttore d’orchestra saranno caratterizzate inevitabilmente dalla sua personale impronta espressiva.

Passiamo alla gestualità delle braccia. Le sue quattro articolazioni (spalla, gomito, polso, dita) permettono un controllo meticoloso del gesto messo in atto e dell’informazione che questo trasmette. Più ampio è il movimento, più forte sarà il volume. Più cauto sarà il gesto, meno intenso risulterà il suono prodotto dall’orchestra. Non solo mani e braccia sono coinvolte nella tecnica di comunicazione del direttore, ma lo sono tutte le componenti del corpo, come dimostrato ad esempio dal ruolo chiave in tale processo della mimica facciale, dello sguardo, del respiro e dell’inclinazione del corpo. Tutti questi componenti esprimono, oltre a indicazioni meramente tecniche come i cambiamenti di tempo (accelerandi, rallentandi, cesure, corone e fermate), anche il cosiddetto andamento agogico, come i coloriti, l’equilibrio dei suoni, la dinamica, la vitalità e tutte le informazioni contenute all’interno dei singoli suoni.

Risulta, dunque, impossibile scorporare i singoli gesti direttoriali e associarli a delle informazioni categorizzate. Ogni gesto, infatti, contiene un numero pressoché infinito di messaggi che seguono una loro traiettoria peculiare. La complessità di questo singolare linguaggio è stata oggetto di diversi studi attraverso il motion capture, un processo di registrazione del movimento del corpo umano. Nel 2012 il Movement Lab della New York University, in collaborazione con il New York Times, ha svolto un interessante studio alla Juilliard School presso il Lincoln Center di New York per esaminare i movimenti di Alan Gilbert, l’allora Direttore Musicale della Filarmonica di New York, posizionando degli indicatori riflettenti sul suo corpo. In questo video è possibile vedere i risultati delle registrazioni. Ricerche simili sono stati svolti anche all’interno dei progetti Capturing the Contemporary Conductor e Orchestral Conducting motion capture data.

Altro esempio della complessità di questa grammatica di segni è rappresentato dalla direzione della sinfonia n.5 di Beethoven da parte di Karajan. In questo caso è possibile osservare una comunicazione a più livelli, su sfere di consonanza profondissime. I movimenti sembrano nascere spontaneamente dalla necessità della musica stessa (minuto 13:19-14:54) divenendo metafore di suoni astanti nel presente. È come se l’aria si facesse più densa, come se lo spirito musicale desse forma ai movimenti da eseguire, plasmandone la forma come una materia nello spazio.





Se un codice è inteso come un insieme di segni e simboli comuni all’emittente e al ricevente, ne deriva che i gesti del direttore fanno parte di una realtà condivisa, una conoscenza e una coscienza diffusa non solo tra i musicisti, ma anche tra gli ascoltatori. Morten Schuldt-Jensen, nel suo prezioso articolo What Is Conducting? Signs, Principles, and Problemsdescrive così la singolare posizione del direttore d’orchestra: “[…] il direttore e l’ensemble non si collocano alla fine del significato musicale (“compositore” e “pubblico”), ma sul percorso in mezzo, dove sono in gioco altre regole semantiche: Il significato musicale è portato dal significato del suono stesso in una funzione del tempo.” Il direttore d’orchestra assume, pertanto, il ruolo di tramite tra il compositore e l’ascoltatore, diventando interprete dello spirito musicale che si manifesta veicolato dai codici durante l’atto interpretativo. Leggiamo sempre ne “Il Dizionario della musica e dei musicisti UTET” che “[...] il direttore d’orchestra impersona l’interprete, in senso esclusivo, dell’opera musicale per orchestra, della quale egli assume la coscienza attraverso la lettura della partitura. Rispetto poi all’orchestra, concepita come un tutto in sé costituito, egli viene a trovarsi in un rapporto virtualmente analogo a quello posto fra un interprete strumentista e il suo strumento. La specifica differenza consiste, com’è ovvio, nel fatto che l’azione pratica del direttore si esercita non su un meccanismo di natura fisica, ma su un ordine musicalmente operante di coscienze umane.”



Gjon Mili



Leonard Bernstein, al minuto 40:43 della sua lezione sulla direzione d’orchestra, "The Art of Conducting", illustra questa propagazione attraverso l’azione pratica del direttore: “Non si tratta tanto di imporre loro la sua volontà, come un dittatore. È più come proiettare i suoi sentimenti intorno a loro in modo che giungano fino all'ultimo uomo nella seconda sezione di violino. E quando questo accade, quando ognuno sta condividendo il suo sentimento, quando cento uomini condividono esattamente gli stessi sentimenti, simultaneamente, rispondendo come uno ad ogni alzata e caduta nella musica, ad ogni piccola interposizione, ad ogni punto di arrivo e di partenza, quando tutto ciò accade, allora c'è una sorta di identità umana del sentimento che non ha eguali altrove. Su questa corrente di identità il conduttore può comunicare con i suoi musicisti e, in definitiva, con il suo pubblico ai livelli più profondi".

Il gesto direttoriale, convenuto e condiviso come linguaggio codificato, crea così un’identità organica, una coscienza condivisa in cui si incontrano l’emittente e il ricevente, il compositore e l’ascoltatore. Elias Canetti in “Massa e potere” scrive che il direttore d'orchestra: “è l'incarnazione vivente della legge positiva e negativa. Le sue mani decretano e proibiscono. E dato che, durante l'esecuzione della musica, non deve esistere altro che questa attività, ebbene, per quel tempo il direttore è il padrone del mondo”. È padrone del momento presente perché è nel suo gesto che nasce un corpo nuovo, un corpo formato da coscienze umane e musicali, distanti nel tempo, ma uniti nel respiro vitale di un unico istante del fluire musicale. E sono proprio i gesti direttoriali che permettono la comunicazione all’interno di questo respiro musicale, combinandosi ogni volta in modo consequenziale all’esigenza comunicativa, per dare forma a un’infinità di immagini caleidoscopiche che nascono, si trasformano e scompaiono nel momento stesso in cui si realizzano.




*EDA ÖZBAKAY

È una traduttrice e docente turco-tedesca. Intraprende studi in musicologia negli anni di formazione in Germania, si laurea a Roma in Lingua e Letteratura Inglese e Spagnola. Per Del Vecchio Editore ha tradotto opere di Çiler Ilhan e Burhan Sönmez. Scrive di musica. Redattrice di zetaesse.




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