di SARA CASERTANO
E mi è poi passato per la testa che quell’idea
di amare il prossimo tuo come te stesso
sia arrivata fin qui da molto lontano.
E mi è parso che questa fosse un’origine appropriata.
Cioè che le stelle siano l’origine di questa idea.
E per una stella amare la propria vicina
richiede un certo sforzo, no?
Iosif Brodskij
Da circa un anno ho un chiodo fisso: cosa sarà dei miei genitali da qui al momento della mia morte. Un mio amico, circa un anno fa, mi ha mostrato un frammento estratto da uno spettacolo di Louis CK. Non so bene quale fosse il tema centrale dell’intero discorso, ma in quei pochi minuti si faceva riferimento alla vita sessuale di chi è poco attraente. L’invito era a smettere di ripetere che tutti sono destinati a incontrare qualcuno che è lì fuori a posta per loro: esistono persone che risultano agli altri così repellenti che nessuno vorrebbe mai nemmeno baciarle sulla bocca, figuriamoci spingersi oltre, con un rapporto sessuale o una relazione sentimentale stabile che ne richiederebbe molti più di uno. Per rendere la sua riflessione più estrema e pregnante, CK continua dicendo che esistono persone i cui genitali non verranno toccati da nessun altro per il resto della loro vita, che quei genitali verranno toccati dai legittimi proprietari solo per l’esercizio di igiene quotidiana and then they die. L’immagine usata da Louis CK per esprimere la dura verità secondo la quale non-per-tutti-esiste-qualcuno mi si è incisa nel cervello fin dal principio. Ricordo che dopo aver sentito quelle parole mi prese subito una specie di ansia sottile ma disperata. Il mio amico cercò di calmarmi, dicendomi che io non ero una di quelle persone di cui parlava Louis CK, che ero giovane, bella e brillante, decisamente attraente, che avevo la possibilità di fare sesso con chiunque volessi, senza il timore di un rifiuto, che sicuramente i miei genitali avrebbero conosciuto altre mani oltre le mie. La dose di adulazione che fu in grado di iniettarmi d’urgenza in quel momento portò alle stelle il mio tasso di vanità, annebbiando all’istante ansie e disperazioni. Tuttavia, l’effetto di un farmaco non ha durata perenne; ed ecco che periodicamente ritorno a quel pensiero, forse perché, come qualcuno mi ha insegnato, di ogni pensiero bisogna fare un palazzo per poterlo abbattere.
Ciò che io avevo veramente sentito nelle parole di Louis CK non aveva a che fare con la soddisfazione del bisogno sessuale di ognuno di noi. Il sesso è il migliore dei pretesti per dire la verità ed è anche la metafora più adeguata per esprimere l’assenza di solitudine: in via teorica, un rapporto sessuale è il punto massimo di vicinanza corporea che due singoli individui possono raggiungere, è l’annientamento di ogni distanza. Non avere una vita sessuale equivale a non avere la possibilità di raggiungere quell’estremo di vicinanza. È come l’eucaristia per un cristiano: la vicinanza massima con Dio si raggiunge unendosi al suo corpo, dunque attraverso la prossimità delle carni. Dire che qualcuno non sarà mai baciato sulla bocca o che sarà il solo a mettere le mani sui propri genitali esclusivamente per poterli lavare fino al giorno in cui morirà significa dire che quella persona non conoscerà alcun tipo di intimità condivisa con un altro. Quella persona sarà sola. La battuta di CK per me non parlava tanto del timore di essere sessualmente inattivi, quanto della possibilità spaventosa di rimanere soli. And then they die. Le rassicurazioni che il mio amico mi aveva offerto, riguardo l’essere giovani, attraenti e brillanti, non erano abbastanza per questo.
Negli ultimi anni ho sperimentato personalmente, in più occasioni, una specie di disconnessione dal resto del mondo, che poi vuol dire dalle altre persone. Sia dentro casa che fuori, nella prossimità come nella distanza, ci si può sentire soli. Qui, però, non sto riferendomi a quella sensazione passeggera di quasi nostalgia che può prenderci di tanto in tanto; ciò di cui parlo è la percezione costante e fondata di non essere più in grado di costruire relazioni significative fuori di sé. Non tutti gli altri sono uguali; soltanto alcuni rapporti sono significativi, mentre la restante parte è fatta di contatti superficiali, che non fanno la differenza. Di questi ultimi si può fare a meno o dove necessario li si può ridurre a una mera cortesia e a un dignitoso rispetto. Ciò che, invece, desta preoccupazione è il venir meno della capacità necessaria per la costruzione di nuovi rapporti pieni di significato. Questa disfunzionalità finisce per pregiudicare intrinsecamente la possibilità di una condivisione intima, che ci ricollega all’immagine iniziale: pudenda intoccabili, accompagnate da una vita emotiva barricata, poiché in nessun luogo riesce a riconoscere la propria casa. Insomma, l’anticamera di un vero solipsismo. Riuscire a stabilire quanto la natura di ciascuna solitudine sia volontaria o involontaria è ben più che complicato e probabilmente neanche parte della soluzione del problema.
Una volta, nel periodo in cui avevo cominciato a credere che le altre persone non meritassero fiducia e interesse da parte mia, come io da loro, decisi di pranzare con un ragazzo che non conoscevo bene, ma col quale credevo di avere in comune una parte della mia sensibilità. Quel pranzo fu un disastro: nessuno dei due guardava negli occhi l’altro e anche quando capitava non succedeva niente, alcun tipo di riconoscimento o di complicità. Quando il pranzo fu concluso, dopo aver passeggiato un po’, cercando di distrarci col paesaggio del lungomare di Napoli, mi chiese se potessi accompagnarlo fino all’appartamento in cui stava, aveva paura di andarci da solo, perché il quartiere non era dei più tranquilli, mi disse. Gli risposi che avevo da fare e che l’avrei salutato lì; dopo quel giorno non ci siamo mai più parlati. Non conosco le sue motivazioni, ma ho sempre creduto che fosse stato a causa di quella disconnessione totale che io e forse anche lui aveva avvertito durante quelle poche ore insieme. Dopo quell’incontro ricordo che mi sentii profondamente atterrita: pensavo di essermi data una possibilità per gettare le basi di un nuovo rapporto significativo e non di mera gentilezza nei confronti di un estraneo, ma non ci ero riuscita. Era stato un fiasco. È evidente che liberarsi della solitudine non può essere uno sforzo a senso unico, né una pratica come l’esercizio fisico. Devono verificarsi determinate condizioni, in assenza delle quali anche la prossimità più propizia non può essere feconda, condizioni che vanno dalla più banale sintonia (lo starsi simpatici) al sentirsi a casa in compagnia di un altro, fino al: “vorrei tu mi stessi in prossimità quando faccio quelle cose che potrei fare da solo”.
I primi appuntamenti al cinema mi fanno sorridere. C’è qualcuno che ha voglia di vederti e di stare con te, ma per farlo ti dice: “Voglio che andiamo in un posto dove staremo immobili e in silenzio, non parleremo tra di noi, non avremo davvero a che fare, perché saremo concentrati sul film, e neanche ci vedremo in faccia, per via del buio e perché entrambi i nostri sguardi saranno rivolti verso lo schermo, ma voglio che ci andiamo insieme”. Potrebbe sembrare che non ci sia alcun senso in una simile richiesta, o che sia un modo per aggirare un vero contatto con l’altra persona, o addirittura un pretesto poco fantasioso per distrarsi con qualche piacere offerto con la mano approfittando dell’oscurità della sala. Ecco che ritorna ancora una volta l’immagine del toccare i genitali; ma magari anche qui il mal celato invito a toccarseli furtivamente a vicenda durante la proiezione potrebbe essere solamente una metafora, dove il sesso è solo la punta dell’iceberg, come nel pezzo di Louis CK. Voler fare con qualcuno ciò che potrebbe essere fatto anche da soli esprime il desiderio di una pura presenza. È il principio di una vera intimità, il toccarsi a fondo, il sentirsi a casa. Pertanto, gli appuntamenti al cinema sono anche quelli che mi fanno ben sperare, perché quando qualcuno ti invita al cinema ti sta anche dicendo che gli basta la tua presenza. Questa cosa che potrei fare da solo voglio farla con te. Non essere soli è anche soltanto una questione di presenza, un desiderio di prossimità.
Da circa un anno ho un altro chiodo fisso: avere qualcuno con cui andare al cinema.
*SARA CASERTANO
Sono nata nel 1992. Ho studiato Filosofia. Lavoro. Mi interesso di estetica, di letteratura e di persone. Diffido da chi dice di non avere il televisore a casa. Ho un blog: attaccabraghe.wordpress.com
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