di ANTONIO FIRMANI
Siamo tutti figli di Happy Days, questo è poco ma sicuro. Ci perdonerà Spike Lee per avergli decontestualizzato il titolo, ma da quando il buon Richie Cunningham ha messo piede per la prima volta nei nostri salotti (o meglio nei salotti dei nostri genitori, se non dei nostri nonni), i protagonisti delle sit-com che abbiamo visto e amato sembrano uniti tutti da un unico grande filo rosso: fare sempre la cosa giusta.
Richie Cunningham, da buon antesignano, estremizza il concetto. Più che un bravo ragazzo è un golden boy, nel senso che lui non fa la cosa giusta, lui è la cosa giusta. Faccia pulita, cardigan, e capelli sempre in ordine in pieno stile “All American”. Richie dà sempre prova di una maturità fuori dal comune: non si droga, riga dritto, studia e serve anche il suo paese quando parte come militare per la Groenlandia. È l’America dei favolosi 50’s: la guerra di Corea è appena finita, quella in Vietnam è alle porte, e Richie, bianco e di buona famiglia, vive il sogno americano. Alla fine mette su famiglia con l’amata Lori Beth, la ragazza della porta accanto, e si trasferisce a Hollywood dove diventa sceneggiatore. Più American Dream di così.
Intanto L’America cresce, cambia, si trasforma, e con lei le sue storie.
Il maschio bianco trentenne americano di metà anni ’90 non è certo lo stesso di Happy Days. Del resto di anni ne sono passati quaranta, e il Village non è Milwaukee. Se Richie Cunningham a poco più che vent’anni è già un uomo, i personaggi di Friends, a trenta, sono ancora ragazzi. Certo, i primi anni ’90 sono ancora figli degli ’80, e quindi Ross è sì un ragazzo, ma ha comunque un posto nel mondo. Ha un lavoro stabile e un figlio. Sarebbe anche sposato se non fosse per il fatto che Susan, sua moglie, sul finire della prima stagione incontra Carol, si accorge di essere lesbica (altro tema dirompente dei primi nineties) e divorzia, rendendo Ross, di fatto, uno scapolone newyorkese. Manco a dirlo, anche Ross fa sempre la cosa giusta, e se non la fa di sua spontanea iniziativa, lo costringono Joey e Chandler. È innamorato da sempre di Rachel, e alla fine dei cinquecento tira e molla (fisiologici in una sit-com lunga dieci stagioni), finalmente finiscono insieme, diventando La coppia, stracitati e straimitati da tutte le comedy a venire.
Con Scrubs il bravo ragazzo si tinge di onirico e sogna letteralmente a occhi aperti. È il 2001 e i nostri televisori stanno per essere sommersi dalla grossa ondata medical dei vari Grey’s Anatomy e Dr. House. Come Ross, J.D. un lavoro stabile e sicuro ce l’ha: è medico. Ma non è solo medico, è una sorta di giovane promessa della medicina, il pupillo del Dr. Cox (che per nove stagioni si affanna a cercare di negarlo), perché è capace ma anche scrupoloso, è giovane ma esperto a sufficienza, insomma se non fa sempre la cosa giusta lui, c’è da perdere la speranza nell’intero genere umano.
J.D. oltre all’aspetto onirico aggiunge anche un’altra sfumatura all’archetipo del bravo ragazzo: la sensibilità. Vive in simbiosi il rapporto con Turk, quasi da sembrare una coppia, e agogna l’approvazione del suo mentore Cox, perché in cerca di figura paterna.
A dire il vero già qualche anno prima con Will di Will & Grace si era provato a inserire la sensibilità tra le skill di un protagonista di sit-com. Will fu un personaggio di grosso successo ma, più che a Ross in Friends (o J.D.), assomigliava a sua sorella Monica. Perché Will era gay (e lo è tutt’ora, non ce ne voglia Povia) e quindi sensibile e soprattutto maniaco compulsivo della pulizia. Parliamo di una serie bellissima e apprezzata al punto da ottenere un reboot a undici anni di distanza dalla messa in onda dell’ultimo episodio, ma oggi un personaggio come Will sarebbe oggetto di discussione perché troppo legato a immagini stereotipate. Già immaginiamo i commenti sui social. I tempi cambiano e con loro cliché e storytelling, basti pensare a come sono raccontati oggi Mitchell e Cameron, la coppia gay di Modern Family (loro col cavolo che fanno la cosa giusta) e la famiglia (allargata) in generale.
Se il nuovo millennio si apre all’insegna della sensibilità di J.D., la seconda metà degli anni’00 eleva il diktat “Fa’ la cosa giusta” allo status di quintessenza.
Sheldon, Leonard, Raji e Wolowitz sono i protagonisti del fortunatissima The big bang theory, serie iniziata nel 2007 e non ancora finita. Quattro geek, che, tra graphic novel e boardgaming, hanno speso la vita sui libri ad accumulare titoli accademici, e hanno più probabilità di costruirsi una donna da sé, in laboratorio, che di vederne mezza in carne e ossa. Il vero protagonista di TBBT è Sheldon, ma, vista la sua disarmante asessualità, viriamo lo sguardo su Leonard grazie al quale il bravo ragazzo acquista una nuova skill: nerd is cool. Con Leonard impariamo una grande lezione, prima potevamo sospettarlo, avere qualche dubbio legittimo, ma con TBBT abbiamo proprio un atto notarile a confermarlo: essere bravi ragazzi paga, perché alla fine finisci con una stangona. Anzi, più sei brutto tu, più stangona è lei, tanto è vero che a Leonard piove dal cielo Penny (Kaley Cuoco), a Ross era capitata Rachel (Jennifer Aniston), a Ted capita Robin (calmi, stiamo per arrivarci), e così via. Se questa è la ricompensa, viene quasi voglia di aiutare le vecchiette ad attraversare la strada.
Nel 2005, con due anni di anticipo su The big bang theory, debutta in TV un altro show destinato a diventare cult: How I met your mother (eccolo, come promesso). Come per Friends, anche qui l’arena è New York, e anche qui protagonista è un gruppo di amici alla soglia dei trent’anni. Ted, cavaliere dalla scintillante armatura, sempre pronto a correre in soccorso della damigella in pericolo, è una sintesi perfetta tra Ross e J.D.
Ted è un sognatore, proprio come J.D., crede nell’amore, è romantico ai limiti dello smielato e fa cose strambe, coadiuvato dal suo migliore amico dai tempi del college (Marshall), proprio come J.D. con Turk e Ross con Chandler.
Interessanti sono anche i punti in comune con Ross, perché il parallelo fra i due personaggi ci racconta implicitamente come nel giro di dieci anni sia cambiata New York, e in un certo senso, l’America tutta.
Ross, non ancora trentenne è un paleontologo affermato, e nel corso della serie diventa professore universitario. I suoi problemi sono esclusivamente di cuore, perché lavorativamente è in una botte di ferro, cosi come in una botte di ferro è J.D., personaggio ancora figlio degli anni ’90 (Scrubs come detto è del 2001), e ben lontano dalla crisi finanziaria mondiale. In generale tutti i personaggi principali delle sit-com ‘80 e ’90 non hanno grossi problemi professionali, abbiamo citato Will di Will & Grace, ma potremmo citare Greg, il giovane avvocato di Dharma & Greg e tanti altri ancora. Per Ted le cose sono diverse, la sua è la New York post 11 settembre, quella senza torri, e la crisi è alla porte. Tanto è vero che Ted, giovane architetto, un lavoro in uno studio all’inizio lo ha, ma poi, man mano che la linea temporale va verso il 2009, entra nella precarietà più totale. Stessa sorte tocca a Robin, a Marshall e Lily.
Quelli di The big bang theory, un lavoro stabile lo hanno, direte voi, eppure anche lì attraversiamo in pieno gli anni della crisi economica, ma è gente che potrebbe lavorare per la NASA e che non lo fa perché per capriccio gli preferisce una partita a D&D. Sono sono dei geni, non vale.
Il nuovo decennio invece si apre con New Girl, serie di successo con Zoey Deschanel, e qui il segno dei tempi che passano è evidente. La società cambia, si evolve, e il bravo ragazzo diventa brava ragazza. “Who’s that girl?” “It’s Jess!”. Ce lo dicono già dalla sigla, stavolta è Jess a fare sempre la cosa giusta, a essere timida, sensibile e anche un po’ imbranata, continuando una lunga tradizione e chiudendo un cerchio immaginario con J.D.
Anche Jess è figlia dei suoi tempi e vive nella precarietà più totale, e anche i suoi coinquilini, tranne Schmidt, si reinventano stagione dopo stagione. È una sognatrice, ma anche un po’ maschiaccio, divide casa con tre ragazzi, sa essere pupa ma anche camionista all’occorrenza.
È questa la nuova sit-com americana, dal Richie Cunningham di Happy Days alla Jess di New Girl c’è di mezzo un universo, ma il filo conduttore è sempre quello. La scrittura seriale continua ad evolversi e a creare nuovi generi e nuovi personaggi. Ci fa parteggiare per i cattivi, e ridere di disgrazie, ma la sit-com, quella non cambia mai. Il bravo ragazzo è sempre lì, saldo: perché in un’America in continua trasformazione, abbiamo bisogno di ridere, ma soprattutto di sentirci al sicuro, e sapere che là fuori c’è qualcuno come Ted Mosby, che manco a dirlo, fa la cosa giusta.
*ANTONIO FIRMANI
Sceneggiatore e autore televisivo. Si occupa di serialità per Serial Minds ed è head writer per Sottosopra produzioni. Tanti pregi e un solo grande difetto: tifa Inter.
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