di ALESSANDRO GIANNACE
«Collecting, searching, discovering music history, and artifacts of recording that you may not have known existed and you just kind of unlock parts of your brain». Le virgolette sono del cantautore belga Gotye, che parla così della pratica musicale del campionamento. Ossia: utilizzare estratti di una composizione già esistente per crearne una nuova. Una trasformazione, una digestione musicale, se vogliamo. Quello che segue, quindi è il primo appuntamento di una playlist alla scoperta della “terra dei campioni”: la musica rap, che del campionamento ha fatto un’arte, sarà gioco forza protagonista, perlomeno di questo primo spezzone, ma non sono escluse incursioni in altri territori. Il mio personale viaggio nel mondo dei sample parte da Cork, in Irlanda, ai tempi del mio progetto Leonardo, nel 2005. Lavoravo in una radio universitaria e stavo preparando un documentario sull’arte dello scratch, quando un tintinnio metallico mi entrò nella testa. Era l’intro di “Take me to the Mardi Gras” di Bob James. In realtà il pezzo che stavo ascoltando era un altro. Peter Piper dei Run Dmc, che ossessivamente utilizzava quelle due battute. Ecco, aver scoperto da dove proveniva quel sample, che a sua volta era la rivisitazione di un altro brano ancora, innescò uno strano meccanismo che ancora oggi mi dà un grande senso di appagamento. Una sensazione che ripetutamente ho ricercato nel tempo e che oggi ripropongo qui.
#1 BOB JAMES – Take me to the Mardi Gras (Columbia 1975)
Partiamo proprio dal brano di cui si parlava più sopra. Quel tintinnio che quando lo senti sei sicuro che sta partendo un pezzo rap. Invece è l’intro di “Take me to the Mardi Gras” di Bob James. In realtà, la canzone è un singolo di Paul Simon del 1973, ma il campione di cui stiamo parlando è preso dalla versione di Bob James, che nell’album “Two”, il suo secondo da solista, ne propone una rilettura smooth jazz. Una piccola parentesi su James, prima di passare ai campioni: il caro Bob è una sorta di Fausto Papetti del pianoforte (i suoi primi tre album sono rivisitazioni in chiave jazz-funk di grandi successi del momento) dalla cui produzione hanno attinto moltissimi rapper. “Take me to the Mardi Gras”, assieme a “Nautilus” è uno dei pezzi più campionati di sempre. Oltre che dai Run Dmc, che ci hanno costruito su “Peter Piper”, è stata utilizzata praticamente da chiunque: il riff in questione è stato ripreso anche da T La Rock in “Breaking Bells”, lo stacco di batteria - in ordine cronologico - dai Beastie Boys in “Hold It Now, Hit It”, dagli N.W.A. in “Straight Outta Compton” fino ad arrivare ad Asap Rocky che lo ha ripreso nella sua “Max B” del 2015. Ghostface Killah, Raekwon e Method Man dei Wu Tang Clan hanno invece mandato più avanti il cursore e selezionato un’intera sezione per costruire la base di “Flowers”. I più estrosi sono stati comunque i Chemical Brothers. Che pure hanno scelto il tintinno iniziale per l’intro della loro “Dig Your Own Hole”, ma lo hanno velocizzato e mandato all’incontrario.
#2 ZAPP – More Bounce to the Ounce /Warner Bros, 1980)
Senza di loro il G-Funk, sound tipico della West Coast, quello fatto di groove ipnotici e acidissimi giri di basso, probabilmente non sarebbe esistito. La storia degli Zapp è terminata malissimo - con l’omicidio/suicidio di Roger e Larry Troutman, due fratelli componenti della band - ma il loro lascito alla musica rap è pesantissimo. E anche se il loro sound è spostato a Ovest, gli Zapp hanno fatto proseliti anche ad Est con il loro pezzo più famoso. “More bounce to the ounce”, primo brano e primo singolo estratto dal loro omonimo album di debutto. Le onde seghe del synth e il ritornello vocale modificato dalla talk box, assieme al titolo esplicito (un inno alle donne molto prospere) hanno fatto da base perfetta per “Going back to Cali” di Notorious B.I.G. Biggie - nato e cresciuto a Brooklyn - ammette candidamente che non si sta poi così male nella West Coast: «If I got to choose a coast, I got to choose the East. I live out there, so don't go there. But that don't mean a nigga can't rest in the West. See some nice breasts in the West. Smoke some nice sess in the West» canta nel testo. Ancora sulla East Coast “More bounce to the ounce” ha attirato le attenzioni degli EPMD di Erick Sermon in “You gots to chill” e dei Public Enemy in “Million Bottlebags”. Fino ad arrivare nelle mani di EL - P, che scompone e riassembla il riff in “Eat my Garbage 2”, brano inserito nello sperimentalissimo album “Weareallgoingtoburninhellmegamixxx3”.
#3 DENNIS EDWARDS – Don't Look Any Further (Motown, 1984)
Restiamo in California per presentare di uno dei “dissing” più famosi nella storia del rap, giacché ultimamente la questione è tornata di moda, seppure limitatamente all’hinterland di Milano. Il “dissing” è la pratica di insultare nemici e rivali in forma canzone: la diatriba in oggetto riguarda proprio Notorious e arriva dal peggior nemico/amico Tupac Shakur. Nessuno è mai riuscito a togliergli dalla testa che il mandante dell’attentato subito il 30 novembre 1994 nei Quad Studios fosse proprio Biggie. Ed è per questo che nel 1996, in risposta al pezzo di Biggie “Who Shot Ya?” (“Chi ti ha sparato?) pubblica “Hit’em up”: un pezzo che provocatorio è dire poco. Tupac fa letteralmente il verso a Notorious riprendendo il coro di Player’s Anthem («Grab your dick if you love hip-hop, Rub your titties if you love Big Poppa» diventa «Grab your glocks when you see 2pac, Call the cops when you see 2pac») e poi confessa senza mezzi termini di essere andato a letto con Faith Evans, moglie del suo rivale. Il giro di basso che accompagna l’invettiva di Tupac è ripreso invece da “Don’t look any further” singolo del 1984 di Dennis Edwards. Una chicca che merita di essere ricordata non solo perché è cantata dal leader dei Temptations in versione solista, ma anche perché il videoclip è un capolavoro del kitsch. Prima di Tupac a mettere mano sull’incalzante giro di basso di cui stiamo parlando erano stati Eric B e Rakim in “Paid in full”, del 1987, singolo che ha dato il nome a uno degli album più influenti di sempre nella storia dell’Hip Hop. Un anno dopo, nel finale di “Girl you know it’s true” (solo nella versione remix “NYC subway” che custodisco gelosamente su vinile) il giro di basso fu utilizzato anche dai Milli Vanilli, la band meteora che fu rovinata da un cd inceppato: i due fratelli o presunti tali che formavano il gruppo in realtà erano ballerini scelti per il loro bell’aspetto e si esibivano con il playback di cantanti più talentuosi. Il loro successo andò in frantumi quando durante un’esibizione il cd con le voci registrate si inceppò in un loop infinito. Il pezzo che stavano cantando era proprio “Girl you know it’s true”.
#4 KRAFTWERK – Trans Europe Express (Kling Klang Studio, 1977)
Essere campionati senza campionatore: è successo ai precursori della musica elettronica, i Kraftwerk. Avviene in "Planet Rock" di Afrika Bambaataa & Soulsonic Force: una canzone eclettica come Afrika Bambaataa stesso (uno dei "founder fathers" della cultura Hip Hop), che possiede una collezione di oltre 40mila vinili. Il singolo di Bambaataa e dei Soulsonic Force è un'icona del rap, ma il suo sound ha contaminato anche altri generi, irradiando la electro, la house e la techno. Tecnicamente, però, Bambaataa e Arthur Baker (il produttore del brano) non hanno "campionato" alcun disco, ma hanno semplicemente riprodotto con un synth e una drum machine Roland Tr-808 il riff di “Trans Europe Express” dei Kraftwerk. «Ho provato a fare quello che i Dj facevano con i dischi» ha spiegato Baker, riconoscendo però come più in là nel tempo (la canzone è del 1982) abbiano dovuto accordarsi con i Kraftwerk per un risarcimento. È storia più recente, invece, che i Kraftwerk abbiano fatto causa contro la rapper tedesca Sabrina Setlur, che aveva usato lo stesso escamotage di Baker, ricreando nel singolo “Nur Mir” del 1997 le sonorità di “Metal on Metal” e campionando anche il riff di “Take me to the Mardi Gras” e “Sucker Mc’s” dei Run DMC. Se tecnicamente “Planet Rock” non aveva campionato alcun brano, è stata invece poi a sua volta campionata da altri: se ne trovano sample vocali in “Fight the power” dei Public Enemy arrivando fino a “Insituzionalized” di Kendrick Lamar. Fuori dal territorio Hip Hop, Lana Del Rey ne ha ripreso parte dell’intro in “Off to the races”.
#5 GRANDMASTER FLASH & THE FURIOUS FIVE – The Message (Sugar Hill Records, 1982)
Chiudiamo il primo giro di sample invertendo il percorso, compiendo una sorta di backspin sul giradischi, proprio come quelli che faceva Grand Master Flash. La sua “The Message” del 1982 è stata il primo pezzo di “conscious rap” della storia, ma non contiene alcun campionamento al suo interno. Il singolo che ha aperto la strada a un rap i cui testi andassero oltre l’effimero, allargandosi anche a tematiche sociali, è stato invece saccheggiato a più riprese nel corso degli anni. Del resto, secondo Billboard è la miglior produzione Hip Hop mai realizzata. Ice Cube ci ha costruito sulla versione remix di “Check Yo Self” assieme ai DAS EFX nel 1993 (utilizzata poi come colonna sonora nel videogame GTA San Andreas), così come anche Pharrell Williams molto più di recente (nel 2006) ha rappato sulla base suonata all’epoca da Ed Fletcher. I Dead Prez, uno dei gruppi rap politicamente più impegnati della scena, hanno invece reinterpretato uno dei versi di “The Message” (che in realtà è ripreso da “Super Rappin” del 1979, sempre di Grand Master Flash e i Furious Five) in “Psychology”: «A child is born with no state of mind blind to the ways of mankind», dice l’originale; «You can't walk the streets with no state of mind, Blind to the ways of mankind» sostengono i “presidenti morti”. La grandezza di un pezzo si vede anche dalla capacità di trascendere i confini del proprio genere. Bene, “The Message” ci è riuscito perfettamente se si pensa che la band basca dei Negu Gorriak l’ha risuonata in versione punk rock nell’album Gure Jarrera: si chiama “Geurea da garaipena”, letteralmente “la vittoria è nostra”.
Dopo questo cocktail parole e musica, vi lascio una playlist di Spotify che segue l’ordine di apparizione dei brani. Prima il brano campionato e poi le sue derivazioni.
*ALESSANDRO GIANNACE
Giornalista, scrive di sport e scommesse. Spesso in cucina, a volte dietro i giradischi. Non ama le note biografiche, ma per noi ha fatto un'eccezione...
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