di CARMEN CARUSO
L’ICA (Institute of Contemporary Arts) è nato a Londra nel 1946 in alternativa alla Royal Academy of Art. L’obiettivo di Roland Penrose, Peter Watson, Herbert Read , Peter Gregory, Geoffrey Grigson ed E. L. T. Mesens – un gruppo di agili menti impegnate attivamente nel campo dell’arte – era quello ricreare uno spazio dove fosse possibile discutere, praticare e promuovere l’arte al di là dei confini tradizionali. Nel tempo l'ICA è diventato un punto di riferimento per tutti gli appassionati d’arte così come per artisti, critici e ricercatori che dell’arte ne hanno fatto un mestiere.
L’ICA ha appena compiuto 70 anni e ha segnato il mondo dell’arte contemporanea in maniera incisiva. In questa occasione abbiamo incontrato Astrid Korporaal (Associate Curator of Education Partnerships) per parlare di questo evento e ripercorrere insieme alcuni momenti salienti. Auguri di lunga vita ICA!
L'Institute of Contemporary Arts ha celebrato nell’anno appena trascorso il suo 70° anniversario. Che effetto fa?
È bello pensare che l’ICA sia stato in grado di esistere nel centro di Londra per così tanto tempo, dedicandosi alle forme d’arte più radicali con una programmazione lungimirante. Fa un certo effetto guardare indietro e riconoscere l’impatto che l’ICA ha avuto sulla pratica di molti artisti e, allo stesso tempo, la capacità di essere un luogo d’incontro, dove le persone potessero discutere idee, questioni sociali e politiche.
L’ICA ha una lunga storia di iniziative dirompenti. Cos’è l'arte o la cultura radicale per l’ICA e come si fa, a partire dalla vostra esperienza, a promuovere forme espressive radicali o la comprensione di un’arte radicale?
A mio parere, essere radicale è diverso dall'essere provocatorio: ciò vuol dire da una parte porre domande relative alle norme con le quali viviamo, mettendo in discussione gli equilibri di potere, dall’altra, promuovere forme di sperimentazione creativa. Ciò può voler dire, per esempio, mostrare le opere prodotte o provenienti da culture diverse fornire uno spazio per parlare di queste differenze piuttosto che offrire una visione unitaria di ciò che la cultura o l'arte dovrebbe essere.
Tra le attività recenti più significative vorremmo ricordare, solo per fare un esempio, due eventi legati al Medio Oriente: Safar Film Festival (biennale del cinema del cinema arabo) e Masāfāt Festival (tenuto contemporaneamente a Londra e il Cairo). Entrambi i programmi hanno coinvolto una vasta gamma di produzioni artistiche. Puoi illustrarci in breve i festival e come queste iniziative sono in linea con gli obiettivi dell’ ICA?
Safar è l'unico festival rivolto alla diffusione cinema arabo contemporaneo nel Regno Unito. È stato pensato come un festival biennale dall’Arab British Centre nel 2012 e per la terza volta, lo scorso settembre, si è svolto presso l’ICA. Quest'ultima edizione è stata curata da Rasha Salti, che ha puntato su una programmazione che mettesse in risalto soprattutto i film che si confrontano con gli stereotipi, i tabù sociali e l’auto-censura.
Masāfāt è un nuovo festival, organizzato da ThirtyTree ThirtyTree, e rappresenta una collaborazione fra l’ICA e il VENT del Cairo per favorire lo scambio tra artisti del Medio Oriente, il Nord Africa e il Regno Unito. Il programma di Londra del mese di settembre è stato caratterizzato da quattro giorni di spettacoli musicali nel segno della collaborazione, per esempio: la première di artisti mediorientali come Nadah El Shazly, Ramallah Collective, ZULI e Herein Lies. Accanto al programma musicale, abbiamo organizzato una serie di proiezioni e dibattiti, in collaborazione con l'Università del Kent e la professoressa Caroline Rooney, su temi come l’hip hop palestinese, visioni del paesaggio urbano mediorientale influenzate dalla fantascienza, la censura cinematografica in Egitto e le infrastrutture alternative per le arti al Cairo. Questo è stato poi seguito da un programma di quattro giorni di musica, proiezioni e incontri al VENT del Cairo, portando artisti britannici come Gaika in Egitto.
Entrambi i festival riempiono un vuoto che caratterizza le rappresentazioni del Medio Oriente nei media occidentali: enfatizzano la ricca varietà di espressioni culturali provenienti da queste regioni, sottolineano al tempo stesso come queste forme siano collegate spesso alle nostre sfide creative e politiche. In questo caso l’enfasi è posta più sulla creazione di nuovi spazi adatti allo scambio e al dialogo; in altre parole, l’obiettivo è rivolto più alla necessità di offrire una piattaforma attraverso cui ascoltare voci che altrimenti non sarebbero sentite. Questa è una parte importante della missione dell’ICA.
Quanto costa, in termini di impegno, offrire al pubblico queste rare opportunità di vedere o ascoltare artisti e forme artistiche che sfidano tabù culturali o politici?
Le sfide che si incontrano variano con il variare degli eventi ma di solito non riguardano la risposta del pubblico. Le persone sono entusiaste di vedere queste opere che altrimenti non avrebbero l’opportunità di vedere. La difficoltà principale cui siamo andati incontro con Masāfāt per esempio riguardava i visti: nonostante un preavviso di molti mesi, la consulenza legale e le lettere di invito da parte del ICA, diversi artisti non sono stati in grado raggiungere il Regno Unito il giorno della loro performance. Questo ha reso chiaro a tutti noi quanto sia difficile lavorare come artista in alcuni paesi del Medio Oriente - anche per quelli con doppio passaporto e residenti in Europa. Come si può avere una carriera internazionale se non hai la certezza di poter viaggiare per il tuo concerto? Ma questo dimostra anche quanto sia importante continuare a invitare questi artisti e non lasciarsi scoraggiare dalle difficoltà - altrimenti le loro voci saranno ascoltate ancora meno.
L’ICA è stato, nel corso degli anni, il luogo di nascita della Pop Art, la Op Art, il Brutalismo; negli anni '70 è stato anche al centro della contro-cultura londinese, sempre anticipando visioni e tendenze che hanno alimentato la reputazione dell’ICA come punto di riferimento delle espressioni artistiche d’avanguardia. Quali sono, a tuo parere, i modi più fruttuosi per sostenere questo impegno in futuro e, se è possibile, ci puoi dare qualche anticipazione delle prossime attività dell’ICA?
L'ICA rimarrà sempre un luogo dedito alle forme d'arte e a coloro che si impegnano a sviluppare nuove forme espressive; ciò include anche il dialogo. ICA ha segnato il corso del punk, delle performance e del cinema indipendente; ha introdotto numerosi artisti internazionali, tra cui Richard Prince, Asger Jorn, Douglas Huebler, Gerhard Richter, Francis Bacon, Francis Picabia, Nancy Spero, Dieter Roth, Marcel Broodthaers, Mike Kelley, Cosey Fanny Tutti e Barbara Kruger, così come interpreti del pensiero critico del calibro di Kathy Acker, Gayatri Chakravorty Spivak, Stuart Hall e Homi K. Bhabha. Lo scopo principale è quello di essere ricettivi e solerti per poter raccogliere gli indizi dei cambiamenti sociali e politici e offrire delle alternative. L'ICA ha appena nominato un nuovo direttore, Stefan Kalmár; tempi di grande entusiasmo ci attendono!
*CARMEN CARUSO
Si occupa di migrazioni e diaspore, studi culturali e post-coloniali, linguaggi e altri codici. Attualmente è Visiting Research Fellow presso l’Institute of Modern and Contemporary Culture (University of Westminster).
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