di ELEONORA RASPI
Dal greco kallos (bellezza) e opsis (vista), comunemente la parola kalopsia indica l'illusione di percepire le cose più belle di quello che realmente sono. Tra le immagini che vediamo, a chi spetta decidere quali sono reali o irreali, di significato, o senza senso? Kalopsia è il titolo scelto per il nuovo lavoro video dell'artista visiva Laura Cionci (Roma, 1980), realizzato in collaborazione con il regista Alessandro Zangirolami (Milano, 1981) e la curatrice Eleonora Raspi (Volterra, 1982). L’opera è un’esplorazione (un unico piano sequenza, in loop) di uno spazio architettonico – a tratti surreale – e del suo stretto, mai doloroso, dialogo con la natura che lo circonda. Pone una riflessione su concetti quali lo spazio liminale, il superamento di confini, questioni legate alla visibilità e alla percezione, e vede come fondamento teorico il percorso di Waiting Posthuman, piattaforma di ricerca interdisciplinare fra filosofia, architettura e arte, fondata da Leonardo Caffo e Azzurra Muzzonigro.
Il progetto è stato girato lo scorso aprile 2016 all’interno del padiglione Ferri dell’ex Ospedale Psichiatrico di San Girolamo di Volterra. Già prima della sua chiusura negli anni ‘70, il complesso ospedaliero aprì le sue porte all’arte contemporanea. In occasione della manifestazione di arte ambientale Volterra ’73, la struttura ospitò il giovane artista Ugo Nespolo e la sua opera La grande pillola, una vera e propria pillola di legno alta due metri; nel 2002, fu la volta di Marina Abramovic per la rassegna culturale Arte all’Arte. Abramovic, con la performance Marienbad, si rivolse direttamente al suo pubblico, dando direttive precise e conducendolo in un percorso fisico, riflesso di un lavoro concettuale su temi quali ricerca di identità, forza gravitazionale, memoria e passato. Kalopsia ha posto nuovamente il Padiglione Ferri al centro di un intervento artistico, questa volta non per onorarne e ricordarne la storia, bensì per afferrarne il presente, le nervature, l’umore. Privato di qualsiasi riferimento simbolico e/o storico, lo spazio è trattato dai due artisti in maniera astratta, come in un viaggio cinematico invertito. Iniziando e terminando con la stessa inquadratura, la camera posiziona lo spettatore all’interno di un loop percettivo entro cui gli è richiesto di rimanere, riflettere, e attendere l’apparizione di un nuovo elemento spaziale.
Perfettamente in linea con il lavoro di ricerca condotto da Cionci negli ultimi anni e in particolare la serie fotografica Friche, Kalopsia risente della presenza dominante dello spazio liminale: negli ambienti interni, la camera svela le inferriate di una finestra non più utilizzata, una stanza, un pavimento a scacchi bianco e nero, un corridoio; all’esterno dell’edificio, un labile confine tra natura e architettura. Diluendo la distinzione tra lo spazio costruito e il mondo naturale, entrambi rimangono sospesi, ambigui.
Una volta entrato nello spazio del limen, lo spettatore perde ogni coordinata e decide consciamente di abbracciare la distorsione percettiva di una realtà tradizionalmente rifiutata. Secondo Victor Turner il concetto e lo spazio del limen sono da ritrovarsi nella liberazione dalle restrizioni sociali, dove coloro che le evadono dimostrano la capacità di andare oltre il mondo culturalmente costruito alla volta di una riscoperta del mondo naturale libero e privo di regole riconoscibili. La liminalità è in tal senso “il dominio dell’irrazionalità”, ovvero lo spazio più interessante tra quelli presenti all’interno della comunità, ma anche quello che rappresenta l’estraniamento dalla stessa. Le persone che vi si inoltrano non suscitano solamente sospetto negli altri, ma anche esercitano un certo fascino e interesse, proprio perché emblema di tutto ciò che è proibito e non comune.
Il rapporto che Cionci e Zangirolami instaurano con il luogo abbandonato implica un’alterazione del punto focale che credo possa rispecchiare la fragilità del sé contemporaneo. Consentire a noi stessi di essere fuori dal nostro luogo di appartenenza potrebbe significare permetterci di diventare confini, testimoni attivi di passaggio e di creazione. Il nostro rapporto sociale come persone-cittadini con spazi abbandonati, in un certo senso, è un richiamo costante della fragilità delle frontiere e dei confini.
Kalopsia è stato presentato per la prima volta lo scorso marzo nel piccolo Museum of Innocence di Mildura (sud est Australia), diretto dall’artista italo-australiano Domenico de Clario. L’inaugurazione ha dato il via al percorso di residenza di Laura Cionci all’interno dello stesso museo. Durante il soggiorno di una settimana l’artista ha lavorato a un nuovo video immergendosi nei paesaggi di Mildura, terra di confine; come un faro, il nuovo lavoro riporta luce sulla spinosa questione – e mai risolta - della popolazione aborigena australiana che ha visto sottrarsi la propria terra rimanendo lei stessa intrappolata tra due mondi, due culture, due tempi. Il progetto affiancherà Kalopsia e la prossima estate saranno presentati per la prima volta insieme in Italia, come a chiudere un cerchio sensoriale sul tema della soglia/interstizio.
*ELEONORA RASPI
(Volterra, 1982), è curatrice di arte contemporanea e ricercatrice indipendente. Dopo anni di vagabondaggio tra Europa e Stati Uniti, al momento vive e lavora tra la Toscana e Milano. La sua ricerca è interdisciplinare, nel campo del cinema e dell'arte, e si concentra su questioni legate al rapporto tra le arti visive, spazio liminale, periferia/centro, e identità.
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