di ANTONIO FIRMANI
Dall’inizio della quarantena, i parallelismi con il mondo del cinema e della letteratura si sono sprecati. “Lo aveva raccontato Soderbergh”, “Lo aveva scritto Saramago”, “i Maya hanno sbagliato solo di qualche anno”. Le citazioni e i meme sul web impazzano. Eppure io, dall’inizio del lockdown, non ho fatto che pensare a una cosa sola: Lost. Sì, perché lo schianto al suolo, più o meno, è stato dello stesso fragore. Non riesco a togliermi l’isola dalla testa, a non vedere le infinite analogie.
È il 22 settembre 2004 e siamo tutti stati catapultati sull’isola più famosa della serialità americana. Siamo “in the middle of nowhere”, solo che il nowhere, stavolta, è la nostra vita. Una moltitudine incredibilmente eterogenea di persone, con le loro storie, le loro vite, i loro affetti, si è fermata. Confinati in un posto, unico, solo, circoscritto. Da un lato noi, con le nostre certezze e le nostre paure; dall’altro, il resto del mondo. Lontano e inarrivabile. Noi di qua. tutti gli altri, di là. Ci ha confinati un virus, mellifluo, letale. Una cortina invisibile e invalicabile. Che sembra alla nostra portata: ”Posso uscire quando voglio, in fondo le mie libertà non sono poi così limitate. Ai nostri nonni hanno chiesto di andare in guerra, a noi di restare comodi sul divano”. Così come alla nostra portata è il mare incantevole e invitante di un’isola deserta in una serena giornata d’estate. E invece no, le settimane di quarantena passano e i numeri dei contagi stentano a scendere; e il mare, l’oceano, nella sua maestosità, mette paura. L’uomo contro la furia della natura, Achab e la balena bianca. Di punto in bianco siamo stati privati della nostra quotidianità, le nostre vite sono in stand by, proprio come quelle dei naufraghi di Lost. È un virus democratico questo qui, attacca tutti, poveri e ricchi, famosi e non. Così come estremamente democratico era il volo 815 della Oceanic Airlines che da Sidney non avrebbe mai raggiunto il LAX di Los Angeles. Anime che vanno in contro al proprio destino. La creatura di Abrams e Lindelof (e Lieber) era un grosso campionario di archetipi che trovava in Jack il suo leader indiscusso. L’eroe in senso classico, il cavaliere senza macchia. Quando ho pensato all’accostamento premier Conte-Jack Shephard mi è venuto da sorridere, anche se scorrendo la mia bacheca Facebook, mi par di capire che se mettessimo la cosa ai voti – per popolarità e sex-appeal – oggi Conte trionferebbe sul povero Jack a mani basse. Ma in fondo, a pensarci bene, l’accostamento stride meno di quanto appaia in un primo momento: isolati dal resto del mondo, senza sapere se e quando tutto questo finirà del tutto, ci aggrappiamo alle parole del nostro leader (un leader che nessuno ha scelto, ma di cui adesso tutti sembrano sentire il bisogno) e affidarci al suo buon senso. “Live together, die alone”. Si vive insieme, si muore soli.
Forse oggi Conte proporrebbe una modifica al documento del dott. Shephard: ”Si vive insieme, ma ad almeno un metro di distanza gli uni dagli altri”. Perché la verità è che ognuno di noi è solo con sé stesso, ed è con sé stesso e con i propri demoni che gli tocca fare i conti (e in questo forse, la nostra quarantena più che a Lost, assomiglia a un episodio di BoJack Horseman o di Californication). Non sappiamo quando finirà, se finirà, e quale sarà il mondo che troveremo una volta tornati dall’isola. Non sappiamo il perché di tutto questo. È la fede che si oppone alla ragione umana. John Locke che si oppone al dottor Shephard. Ci chiediamo quanto saranno stati utili i sacrifici che abbiamo fatto, con fede incrollabile, se abbia un senso continuare a digitare quella sequenza numerica ogni 108 minuti.
E allora non resta che aspettare, reinventare le nostre routine (come Desmond) e sperare utopicamente che il mondo che ritroveremo non sarà stato scalfito da tutto questo, proprio come il tempo e la distanza non hanno scalfito l’amore fra Penny e Desmond.
*ANTONIO FIRMANI
Sceneggiatore e autore televisivo. Si occupa di serialità per Serial Minds ed è head writer per Sottosopra produzioni. Tanti pregi e un solo grande difetto: tifa Inter.
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