di SALVATORE PIERMARINI
In Images à la sauvette del 1952 Cartier-Bresson affronta diversi temi del suo lavoro e si sofferma specialmente sulla capacità della fotografia di isolare gli elementi transitori e sempre in movimento della realtà. “Non c’è nulla al mondo che non abbia il suo momento decisivo”, si legge in apertura. La frase è tratta dalle memorie del cardinale di Retz, pubblicate nel 1717, e fu proposta dall’editore Tériade. Successivamente gli scatti di HCB sono spesso stati ridotti al mito del momento decisivo, determinando, nella maggior parte dei casi, una distorsione nell’interpretazione comune della fotografia. L’istantaneità dello scatto ha finito con l'essere confusa con l'estemporaneità, la velocità o la spontaneità dello sguardo, mettendo fuori scena, per esempio, il lavoro di composizione del fotografo e la sua capacità di esercitare uno sguardo analitico per rappresentare ciò che ha davanti. Se è vero che non tutti siamo chiamati a essere fotografi nel momento in cui scattiamo e condividiamo immagini, è opportuno restituire un po' di quella fatica di cui si nutre la fotografia. Le immagini che presentiamo di Salvatore Piermarini, con la presentazione di alcuni dei rullini scattati per il libro Melissa, recuperano appieno questi aspetti in cui l'immediatezza dell'intuito si muove di pari passo con la ricerca e la costanza che contraddistinguono anche – e soprattutto – il momento decisivo di una fotografia.
«Nel tardo pomeriggio di un lontano settembre del 1976, in un piccolo paese chiamato Melissa, famoso per le occupazioni delle terre calabresi e per i suoi tre martiri contadini, mi misi a fotografare tutto quello che poteva succedere nell'arco di più di due ore davanti al bar della piazza, senza usare il treppiedi, a mano libera ma a inquadratura fissa. Gli unici movimenti che mi ero concesso erano solo quelli utili a riavvolgere i rulli esposti e a ricaricare le macchine con pellicole vergini, e quelli necessari a verificare la messa a fuoco e a modificare i valori dell'accoppiata diaframma e otturatore. Il sole scendeva al tramonto, il tempo della luce naturale passava e scemava fino all'arrivo del buio, quando si accesero le lampadine elettriche del bar e della sua insegna. Quella è stata la sequenza più lunga che io abbia mai realizzato sul tema dello spazio e del tempo: un totale di cinque o sei pellicole, per altrettanti provini, per un numero complessivo di oltre duecento fotogrammi. Ma, a dire il vero, quello che mi aveva interessato maggiormente era vedere le semplici, banali e quotidiane scene che si succedevano ogni tanto davanti ai miei occhi: gli scherzi del bar, il ritorno dalle campagne dei contadini sui muli, un apparente non accadere, un fluire lento, quasi immobile, qualcosa che provai a descrivere mettendo in gioco il ruolo del fotografo al cospetto di una realtà semplice ma difficile da rappresentare dal vero. Anche quella fu una "prova", una verifica del guardare senza nascondimenti, mi sentivo preso da quella scena e ne prendevo parte, tutti sapevano che ero lì, tutti mi vedevano e partecipavano allo sguardo, direi con naturalezza e senza finzione.
Dello scorrere del tempo mi colpirono soprattutto il lento, successivo e costante deperire della luce, e le frazioni scandite dei miei scatti che sembravano governati solamente dalla mia volontà e da nessun'altra nozione del tempo che passa. In quel caso, come avrebbe voluto Roland Barthes, le macchine fotografiche diventarono gli orologi mentali dello sguardo meccanico».
*SALVATORE PIERMARINI
Approda alla fotografia nel 1966, la promuove a suo linguaggio d’elezione e comincia a studiarne la storia, i maestri e la disciplina. Fotografo autodidatta e freelance, realizza centinaia di reportage sul lavoro dell’uomo, sul mondo dell’arte e della cultura, sui luoghi della metropoli, sul ritratto, sulla fotografia di viaggio, di architettura, di paesaggio. Nel 1981 è segnalato da Time-Life Photography Year che pubblica un suo ciclo di fotografie. È autore di numerosi libri, mostre personali e collettive, e collabora con istituzioni culturali italiane e straniere. L’ultima campagna fotografica è edita nel volume L’Aquila. Magnitudo zero, Quodlibet 2012.
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