top of page
Immagine del redattoreZetaesse

Nodi, vincoli e “groppi” leonardeschi

di MARCO VERSIERO


Zetaesse. Marco Versiero. La pratica del “canestrare i vinci” si è sedimentata nell’immaginario di Leonardo, non solo come pattern stilistico ma anche come cifrata allusione di matrice onomastica
Codice Atlantico, f. 190 verso: © Veneranda Biblioteca Ambrosiana
"Negli arbori altresì si è trovato una bella invenzione di Leonardo, di far che tutti i rami si facciano in gruppi bizzarri, la qual foggia usò, canestrandogli tutti, Bramante ancora"

Così scriveva Giovan Paolo Lomazzo nel suo Trattato dell’Arte della Pittura, Scoltura et Architectura (Milano, 1584 e 1585), Libro VI, cap. XLIX.

Leonardo stesso sembrerebbe confermare la paternità dell’invenzione dei “gruppi bizzarri” all’amico urbinate e collega alla corte sforzesca, il Bramante, con un’annotazione al f. 611 a recto del Codice Atlantico, in cui si citano espressamente i «groppi di Bramante».

Sussistono tuttavia molteplici elementi a sostegno dell’ipotesi che si trattasse invece di invenzione germinata precocemente dall’ingegno leonardesco (seppure poi attestatasi come episodio di significativa consentaneità rispetto alle predilezioni estetiche dell’amico architetto): già il più antico disegno di Leonardo che oggi si conservi, il foglio con la celeberrima Veduta della Vallata dell’Arno (inv. 8 P del Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi), notoriamente contrassegnato dalla datazione autografa al 5 agosto 1473, riporta sul lato posteriore, insieme ad altri schizzi di figure, un primo embrionale esempio di “nodo vinciano”. Si è giustamente congetturato che la pratica del “canestrare i vinci”, cui pare esplicitamente alludere lo stesso Lomazzo, consistente nell’intrecciare i serti di arbusti flessibili simili a salici diffusi nel territorio del paese natale per produrre manufatti artigianali, possa essersi fatalmente sedimentata nell’immaginario leonardesco, non solo come marchio o pattern stilistico ma anche come cifrata allusione nominale di matrice onomastica: sia come rinvio topografico alla nativa Vinci, dunque, sia a titolo di colto rimando al proprio nome di famiglia (in ossequio al gusto di Leonardo per i rebus e gli anagrammi, poiché “vinci” vuol dire appunto “vincoli” e quindi nodi o intrecci).



Che il nodo divenga, a partire dal periodo sforzesco (c. 1482-1499), un grafema contraddistintivo della personalità stessa – intellettuale e artistica – di Leonardo, si evince poi da altre circostanze probanti: se un suo probabile autoritratto nell’atto di traguardare una sfera armillare mediante un prospettografo è accompagnato da disegni di intrecci ornamentali su un foglio strettamente legato alla sua pratica di bottega (Codice Atlantico, f. 5 recto, c. 1490), svariati schizzi che elaborano motivi affini costellano poi il cosiddetto Manoscritto H (ad esempio ai ff. 32 verso e 33 recto), la cui datazione piuttosto ferma al biennio 1493-1494 lo rende un immediato precedente di due imprese scaturite allo scorcio dell’ultimo decennio del sec. XV dal laboratorio milanese di Leonardo. Le incisioni con le “cartelle” della altisonante Achademia Leonardi Vinci, in cui il tema iconografico riceve la sua più compiuta e astratta stilizzazione estetica, oggi conosciute in due serie di esemplari (alla Biblioteca Ambrosiana e al British Museum), dovrebbero infatti datare poco dopo, dal momento che Dürer ne plagiò l’invenzione (omettendo le scritte allusive alla scuola di Leonardo), a seguito della sua probabile trasferta milanese nel corso del suo soggiorno veneziano del 1495.



È tuttavia la grandiosa ornamentazione allegorica della Camera de’ Moroni (poi detta impropriamente Sala delle Asse) al pianterreno della torre nord-orientale del Castello Sforzesco, condotta dal 1498 con larga partecipazione di aiuti e lasciata incompiuta alla fine del 1499 alla capitolazione del Ducato di Milano a causa dell’invasione francese, che dimostra l’impiego più scenografico e spettacolare dei “nodi” e “groppi”, all’interno di un programma iconologico altamente celebrativo delle virtù politiche di Ludovico il Moro, alla cui personalità alludono infatti i gelsi-mori dai rami frondosi, che intessono intrecciandosi ai nodi di corda un illusionistico pergolato naturalistico sulla volta della sala (cui si immagina dovesse corrispondere il labirintico design del decoro del suolo – ma dalla tramatura di matrice geometrica – come testimonierebbe il probabile studio per piastrella pavimentale al f. 700 recto del Codice Atlantico). Lo stesso rigoglio botanico associato al nodo si ritrova nella cosiddetta “allegoria del calandrino” (Codice Atlantico, f. 190 verso), nella quale il motivo dell’uccello ingabbiato combinato con i rami intrecciati da cui prepotentemente germogliano foglie e fiori, con la significativa didascalia "I pensieri si voltano alla speranza", rinvia alla leggenda medievale del “calandrino” narrata nel Fiore di virtù, ovvero il miracoloso volatile che, portato al cospetto di un ammalato, si sarebbe rivolto a lui cantando solo a presagio di pronta guarigione.





*MARCO VERSIERO

È postdoctorant in Études Italiennes presso il laboratorio Triangle alla École Normale Supérieure di Lione (2016/2017). È dottore di ricerca in Filosofia Politica (Università di Napoli L’Orientale) e in Letteratura Italiana Moderna (Istituto Italiano di Scienze Umane - Scuola Normale Superiore di Pisa) ed è stato abilitato dal MIUR come docente universitario associato (2013)

Comentários


bottom of page