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Crescere suoni biologicamente: Rudolf Eb.er

di DOMENICO NAPOLITANO



Attraverso la mia produzione artistica (una forma di liturgia della vita) mi carico di tutto ciò che appare negativo, insano, perverso e osceno, della lussuria e dell’isterismo derivante dal sacrificio, allo scopo di risparmiare a VOI la corruzione e la vergogna implicate nella discesa nell’estremo.

[Hermann Nitsch]


Rudolf Eb.er, anche conosciuto come Runzelstirn & Gurgelstock, è uno dei più geniali e indecifrabili autori nel panorama della musica di ricerca degli ultimi trent’anni. La sua storia inizia nel 1987, quando a Zurigo fonda lo Schimpfluch Gruppe, piattaforma per artisti estremi e outsider che sperimentavano, per usare le sue stesse parole, «performance polemiche/aggressive e fisicamente impegnative e trattamenti scioccanti per rompere i limiti del corpo ed avere accesso all’inconscio collettivo».

Si trattava di concerti violentissimi in cui, tramite trasduttori, microfoni a contatto e altri tipi di sonde, Rudolf e soci trasformavano i propri corpi in macchine sonore brutali. Inscritti in una poetica oscura e misterica, i loro extreme rituals erano esperienze sonore in cui il dolore fisico dei performer non era minore del disagio fisico degli ascoltatori, in un misto di rumori organici e suoni “psico-attivi”. I loro grotteschi rituali erano intesi come «portali verso i tratti traumatici e gli abissi dell’esistenza umana, viaggi nelle più infernali regioni della psiche, volti ad innescare una maggiore sensibilità ed una consapevolezza nonduale»

Come una sorta di moderno psicopompo, Rudolf Eb.er scava, attraverso i suoi riti e artefatti, nei territori più occulti dell’esistenza alla ricerca del disvelamento del “corpo psichico”. Attraverso delle pratiche talvolta estreme che includono “test psico-fisici e training”, acustica psico-attiva ed esercizi tantrici, egli aspira a scandagliare e mettere alla prova la sensibilità dello spettatore/ascoltatore nonché la propria, per forzarne i limiti fino a giungere a quella che può essere definita un’esperienza di purificazione.

Non tutti gli ascoltatori provano lo stesso effetto allo stesso momento. [Le performance] non sono fatte per avere sensazioni, ma per divenire consapevoli del corpo psichico e per lavorare con esso. Questa musica ha la funzione di espandere la consapevolezza, o per lo meno di rendere consapevoli che c’è qualcosa da espandere.

È facile individuare in tutto ciò un forte legame con l’azionismo viennese, specialmente se si pensa alle performance “abreattive” di Hermann Nitsch, a cui Eb.er talvolta esplicitamente fa riferimento. In esse l'artista si pone come un vate in virtù della propria particolare sensibilità verso il mondo, e cerca di veicolare attraverso le sue Azioni una sorta di presa di coscienza che porti il pubblico a «riprendere contatto con le proprie radici più istintive e primigenie per arrivare a un'accettazione completa del sé e a un superamento del soffocamento che la cultura borghese, la vita in società e spesso la civiltà in senso lato opera su ognuno di noi». Concetto ripreso dai primi scritti di Freud, l'abreazione intesa da Nitsch consiste sostanzialmente in una catarsi che non funziona però come quella aristotelica, ma semmai come quella nietzschiana: non si tratta di fruire della pietà e del terrore per liberarsi da essi, ma di scendere nell'abisso della pietà e del terrore per riconoscerli in qualche modo come parte della vita, per unirsi a loro nell'eterno divenire.


Zetaesse, Domenico Napolitano. Rudolf Eb.er è uno dei più geniali e indecifrabili autori degli ultimi trent’anni

Eb.er tuttavia non si accontenta di pietà e terrore, di violenza e sacro (per citare Girard, e unisce a questi elementi una forte esperienza del disgusto. Si vedano ad esempio performance come How to mix colours in cui tre donne giapponesi vengono filmate mentre ingurgitano liquidi colorati che poi vomitano in delle ciotole in sequenza orchestrata, o come Asstrumpet in cui Eb.er “suona” soffiando in un tubo inserito nell’ano di una donna urlante, accompagnati da un’elegiaca orchestra d’archi.

In un certo senso il disgusto, agendo attraverso la compenetrazione con il soggetto, si trasmette per prossimità e causa reazioni fisiologiche, e pertanto è un mezzo privilegiato per andare al di là della rappresentazione e scatenare un’esperienza reale, quasi primitiva. Si ricordi l’ammonimento di Bataille per cui il disgustoso apre una via di conoscenza, permette di accedere al fatto che l'uomo è una creatura «nel fondo della notte», che è in grado di vedere la verità solo quando paradossalmente essa eccede la vista stessa; dunque il disgustoso, in quanto eccesso, rende conoscibile la verità.

Tuttavia il motivo azionistico e il richiamo al disgustoso rischiano di essere limitanti per comprendere la genialità di Rudolf Eb.er. E questo perché l’aspetto performativo/ritualistico, quello dei test psico-fisici, è solo l’inizio di un percorso che ha portato Eb.er più lontano, in un luogo altro e insondabile. Le performance e gli extreme rituals, infatti, acquistano il loro pieno valore solo in connessione con gli artefatti sonori che Rudolf produce in studio e che costituiscono di solito la parte sonora a partire da cui quelli prendono vita.

Si tratta di lavori di montaggio meticoloso di materiali sonori, sequenze intricatamente strutturate in cui suoni dalla componente grottesca o organica (rantoli, rutti, grugniti, conati, latrati, urla, tonfi e stridori) vengono mixati con suoni sinistramente evocativi (fisarmoniche, campanelli, cluster di pianoforte, archi, e più recentemente field recordings). Randellate e ossa rotte, il suono della carne maciullata, accompagnati da gingolini malefici, impalpabili fruscii, o frequenze sintetiche disturbanti. In un’intervista con Drew Daniel apparsa su ‘The Wire’, Eb.er descrive così il suo processo di editing:

In Svizzera usavo bobine aperte e bisturi, quasi chirurgicamente. Tagliare, tagliare, tagliare, per poi ricucire. Scavavo un buco e ci rimanevo dentro con tutte quelle lame, forbici e nastri. La mia intenzione non era di mischiare le cose, ma di infilare il coltello nel suono che avevo registrato, dentro e fuori. Quello che si sente in Runzelstirn & Gurgelstock è reale. L’azione e il suo corpo. Tagliavo le parti del corpo, le cucivo in maniera sbagliata e poi tagliavo di nuovo – in 15 anni i suoni di R&G sono stati divisi e ridivisi, e così sono cresciuti ancora e ancora. Io cresco i miei suoni ‘biologicamente’, come si dividono le cellule. Taglio e lascio crescere.

Eb.er interviene sul corpo, biologicamente, e questo corpo non è solo il corpo del performer, sottoposto alle violenze dei test psico-fisici e dei rituali estremi, ma il corpo del suono stesso. Anzi è proprio qui che Eb.er pone la massima attenzione, poiché è il suono l’organismo più plasmabile: di esso si può fare di tutto, mischiare, moltiplicare, sezionare, sospendere, distorcere, slabbrare, al fine di ferire o di commuovere, di annichilire o di trascinare; ben più di quanto sia possibile con il corpo umano, i cui limiti sono presto sondati.


Un altro aspetto significativo è che quando si ascolta un disco di Runzelstirn & Gurgelstock, ciò che più colpisce non è la violenza sonora, ma è piuttosto l’enorme quantità di silenzio, la tensione infinita; e poi il grottesco quasi fumettistico. Eb.er è infatti un maestro artigiano, ha sviluppato una tecnica sopraffina del taglio dei materiali sonori e del loro rimontaggio. I suoi loop “tagliati storti” creano spasmi improvvisi nell’atmosfera tesissima che c’è intorno, sfociando in un mostruoso che ha a che fare tanto col comico quanto con l’orrorifico. I materiali sonori utilizzati hanno sicuramente una loro intrinseca qualità narrativa, come nella migliore tradizione della musique concrète, la quale viene però stravolta, quasi ribaltata attraverso il montaggio, in un gioco di riconoscibilità e distorsione in cui la violenza non è che la facciata del lavoro sonoro, il cliché horror facilmente riconoscibile (le urla, i crescendo di archi), dietro la quale si agita una ricomposizione dei materiali talmente allucinata da lasciare l’ascoltatore spiazzato, interdetto, e scioccato per davvero. Scioccato perché ha perso ogni orizzonte di riferimento, ogni senso conosciuto. La continua oscillazione tra birichinata fumettistica e cattiveria psicotica che caratterizza la sua musica è qualcosa di comico e sbalorditivo allo stesso tempo. Non c’è da stupirsi se l’ultimo lavoro di Eb.er Brainnectar abbia il dichiarato intento di utilizzare il suono per sviluppare energia psico-fisica che va dal perineo al cervello.


Zetaesse, Domenico Napolitano. Rudolf Eb.er è uno dei più geniali e indecifrabili autori degli ultimi trent’anni

Da questa, sicuramente non esaustiva, analisi (del resto come potrebbe il linguaggio descrivere l’esperienza sonora?) dell’universo sonoro di Rudolf Eb.er, ci pare di scorgere un’ambivalenza tra azionismo abreattivo di tipo ritualistico con finalità catartica e ricerca sul suono in quanto tale, sulle sue proprietà fisiche e gli effetti psico-fisici che può indurre. In effetti, il meccanismo di abreazione tipico delle performance azioniste richiede, per il suo funzionamento, riconoscibilità, simbolismo e iconicità, mentre la musica di Rudolf Eb.er fa un passo ulteriore, trasformando tutto l’universo sonoro in una mostruosità di cui è possibile riconoscere solo la trasfigurazione. Per dirla con Ray Brassier:

La familiarità ha reso l’iconografia dell’azionismo viennese banale: sangue, violenza e trasgressione sessuale sono ormai dozzinali presupposti dell’intrattenimento. Ironicamente, anche l’art brut sembra scontata per noi. Ma la giudiziosa coltura del mostruoso e del fumettistico di Eb.er e la sua inquietante trasposizione del disagio psichico in pagliacciata infantile mostrano un’avversione allo stereotipo e una lucidità non indifferente circa l’ineliminabile complicità che esiste tra volontà e compulsione, tra perversione e patologia.

Eb.er non cerca lo shock o il conflitto, né è interessato alla spettacolarizzazione della violenza. Il suo è un lavoro di disciplina e concentrazione in cui, attraverso i “test and trainings” psico-fisici, mettere alla prova la sensibilità (tanto sua quanto dei suoi ascoltatori), testarne i limiti e forzarli, allargandone i confini. E qui forse l’ambivalenza di cui sopra trova una soluzione. I suoi suoni non hanno più a che fare con alcun genere definito. La banalità della violenza, della coercizione, del sangue e dell’orrido non mettono veramente alla prova la sensibilità, e ricadono spesso in forme, seppur perverse, di intrattenimento. Ma la sensibilità va ben oltre, può aprire altri universi. È a questo altrove che la musica di Rudolf Eb.er mira, l’altrove di una sensibilità non più umana, ibridata, oggettivata, in cui si intravedono le condizioni per una convivenza degli incompossibili (immaginabile solo con un alto grado di tensione, una specie di differenza di potenziale). È altrettanto vero che alla base di questo lavoro c’è quello che Brassier chiama un “uso strategico dell’ambiguità”, che mentre si oppone alla dialettica classica, è capace di potenziare il lavoro della differenza. I limiti in questo caso sono appunto quei territori invisibili in cui le identità si sbiadiscono, in cui i punti di riferimento si fanno incerti, e in cui la sensibilità è al suo massimo grado di attenzione. In questo consistono i tests, alterare e trasfigurare non al fine di mostrare l’orrido, ma al fine di metterci in una condizione scomoda, una condizione di allerta, come di notte nella foresta, quando i sensi sono spalancati e la percezione è al massimo grado. In questo stato percettivo siamo pronti ad andare altrove. È questo il meccanismo abreattivo che Rudolf Eb.er intende attivare. Il suo universo sonoro è talmente assurdo da non lasciare altra scelta: la “catarsi”, per così dire, è scoprirsi sul limite, tra riconoscibilità e irriconoscibilità, tra paura e riso, tra silenzio e frastuono, tra individualità cosciente e alterità.


*DOMENICO NAPOLITANO

Classe 1985, laureato in “Filosofia, politica e comunicazione” presso l’Università “L’Orientale” di Napoli, è attivo come musicista e compositore di musica elettro-acustica da oltre dieci anni con il nome d'arte SEC_. Ha suonato concerti in tutta Europa, in USA e nel medio-Oriente. Attivo da altrettanti anni come organizzatore di eventi musicali nelle città di Napoli e Avellino, è considerato uno degli animatori della scena musicale elettronica italiana. Ha pubblicato anche brevi saggi di filosofia della musica, tra cui “Partiture significanti” per la rivista Trimbi.

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