di GIUSEPPE A. SAMONÀ
È un formichiere. È un formichiere. È un formichiere. Ma non c’è niente da fare. Mi mostrano, come capita spesso, un formichiere, m’interrogano, il che capita ancora più spesso, sul formichiere (con domande del tipo: chi è quell’animale che con la lingua, le formiche, etc.), spontaneamente io stesso (ed è più volte al giorno), senza bisogno d’esser sollecitato, corro con la mente al nobile animale, che, ecco qua, sulle labbra mi sorge inevitabile: Tapiro; sulle labbra, che subito mi mordo, per dire, ansioso: No, è un formichiere. Ma perché? Perché? Certo, il mio cervello funziona male: sono uno studioso studioso, voglio dire sono uno studioso (sostantivo) studioso (aggettivo), ma (eppure le controllo ogni giorno da trent’anni) scambio sempre le date di Maratona e Salamina. Tuttavia, fra le due patologie (quella, diciamo, storica, e quella tapirologica), c’è una differenza sostanziale, anzi due. Scambio Maratona e Salamina, senza potermi correggere: l’errore insomma si rivela proprio nel momento in cui assumo, certo esitante, la risposta come vera, ché quando invece mi convinco di aver sbagliato si scopre che ci avevo visto giusto – insomma, non ci azzecco mai. Col tapiro invece so, da subito (eppure quel nome: tapiro, mi sorge inevitabile sulle labbra) che non di tapiro si tratta, ma di formichiere. Per altro (ed ecco la seconda differenza, capitale) di Maratona e Salamina so tutto; del tapiro, nulla – tranne appunto che non è un formichiere. Questa ignoranza del tapiro è assoluta? o ci fu un tempo in cui frequentai tapiri? Non saprei dirlo. A volte, ho come un vago ricordo di una passeggiata allo zoo di Siviglia, con mio padre (che era torero), il dito sereno nell’aria, che dice: Guarda, un tapiro. Ma fu vero tapiro? o mio padre (era, l’ho detto, un torero) mi stava volontariamente inducendo in errore, e trattavasi dunque di formichiere? Appunto: No lo sé. Ma da allora, comunque, più nulla. Più nulla, nulla so del tapiro, tranne, con saggezza un po’ socratica, che appunto non è un formichiere.
Dice (c’è sempre, è inevitabile, qualcuno che dice): Ma almeno prova a immaginartelo. Sembra facile. È grasso, è magro, alto, basso? E come faccio a dirlo, se l’unico punto di riferimento che ho è negativo: è appunto il formichiere ? (che non è tapiro) Ma insiste, e dice : E provaci. Ed io ci provo. Vive, il Tapiro, in America del Sud, di preferenza nelle foreste umide, si nutre di bacche, noccioline e pop-corn (ma anche rametti, e liquirizie). È suo nemico mortale il Giaguaro, ma anche il Puma e l’Uomo. Bisognerebbe catturarlo giovane, ché allora diventa più mite di un cavallo. Infatti è, il Tapiro, animale di morbida, se non tiepida sensualità: e, a differenza del formichiere, rifugge le tecniche appassionate del Kama Sutra. (Confessa, hai barato. Sì: è una vita intera che del tapiro so solo che non è un formichiere, o meglio che il formichiere non è un tapiro, o meglio ancora: è un non tapiro; è una vita intera, insomma, che mi dibatto nella mia ignoranza: avrò diritto di dare un’occhiata all’Enciclopedia degli Animali? Tanto ho già dimenticato tutto, neanche come ho cominciato a scrivere questa frase, ricordo. Perché, vedete, no, di nuovo, dannazione, so solamente che: questo non è un tapiro, è un formichiere!).
La nonna di una mia cara amica (questo dirò concludendo), che era mia amica pure lei, ed anche di profonda intelligenza (era) oltre che grande scrittrice, scrisse (era, appunto, scrittrice) sul barattolo del sale: Questo non è zucchero, è sale. Da me interrogata sul perché di questo strano détour (io, con grande superficialità, avrei scritto: Sale), spiegò che lei, da sempre, metteva il sale nel caffè, prendendolo per zucchero – Sì, ma… Ma già tu, installata sul divano, regale e immobile (Sfinge), dormivi (ché sempre t’addormentavi, accogliendo i tuoi ospiti; ed anche dormivi al cinema, dove ti recavi per scrivere di film: perché eri una grande scrittrice di briciole ed umani). Ed io oggi, che non ci sei più, provo nostalgia, e un grande rammarico di non averti parlato del tapiro – o più precisamente di questo: che questo non è un tapiro, è un formichiere.
E lo so, direte (che è diverso da dice, ed è peggio di diranno): Ah Samonà, ma allora oltre che incula-mosche e sporcaccione, Lei si sta pure (scusi) rincoglionendo? Le avevamo chiesto, a Lei, famoso zoologo, e Accademico, una piccola scheda sul Tapiro: e Lei ci presenta questa gran minchiata (scusi)? Eppure, lo giuro, non ho fatto che dire la verità; e poi oramai l’ho scritta, questa (scusate) gran minchiata, e tempo più non v’è (♫ Pentiti, scellerato... No, vecchio infatuato, etc. -... Tempo non ha, scusate, etc., etc.). Nessuno vi obbliga: se proprio non ce la fate a leggere, passate alla prosa seguente – Bravo, alla fine ce lo dici, che oramai abbiamo già letto… Ma allora, che altro vi resta da fare, se non perdonarmi? In fondo, una prosa sbilenca e martellante in una rivista che si occupa di ossessioni ci sta pure bene. E almeno una cosa, leggendola, l’avrete capita: Questo non è un tapiro, è un formichiere.
*GIUSEPPE A. SAMONÀ
Studia i mondi antichi, con le loro lingue, e poi legge, scrive, traduce. Ha abitato a New York e a Montréal, e attualmente vive a Parigi. Non ha ancora studiato zoologia, né vissuto a Buenos Aires – ma sogna un giorno di poterlo fare.
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